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Storia popolare della filosofia - prova-cor

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principio divino o come la <strong>filosofia</strong> stessa, bensì viene trasferita sul piano <strong>della</strong> vita pratica e ne costituisce il<br />

presupposto razionale. 406<br />

La concezione del primato <strong>della</strong> vita contemplativa appare anche nel libro X <strong>della</strong> “Nicomachea”. A tale<br />

proposito, M. L. Tatarkiewicz (1931) ha sostenuto che la “Nicomachea” contiene tre diverse etiche: una <strong>della</strong><br />

vita contemplativa, fondata sull’intelligenza ed espressa dal libro X, una <strong>della</strong> vita attiva secondo il principio<br />

del “giusto ezzo”, fondata sulla volontà ed espressa dai libri I-IV, una morale, infine, dell’amicizia, fondata<br />

sul sentimento ed espressa dai libri VIII-IX. A. Gauthier e J. Y. Jolif hanno sostenuto, invece, che per<br />

Aristotele la vita ideale non è tanto la contemplazione <strong>della</strong> verità, quanto “una vita mista, che unisce<br />

inseparabilmente azione morale e contemplazione”.<br />

In ogni modo, Aristotele considera come attività propriamente umana quella razionale. Il grado massimo<br />

di tale attività si ha nello svolgimento del puro pensiero; ma è meritevole di attenta valutazione anche<br />

l’attività pratica dominata dalla ragione. 407<br />

La “Poetica” di Aristotele e la sua fortuna nella storia dell’estetica<br />

La “Poetica” di Aristotele rappresenta una delle opere più ampiamente conosciute e che hanno ispirato la gran parte<br />

delle riflessioni sull’arte. L’arte rappresenta il “verosimile”, a differenza <strong>della</strong> “storia”, che rappresenta il “vero”. Nella<br />

rappresentazione artistica si distingue il genere “epico”, in cui i personaggi intervengono direttamente coi oro dis<strong>cor</strong>si,<br />

intercalandoli tra le parti narrative. La “tragedia”, invece, introduce solo dialoghi tra i personaggi; essa perciò è adatta<br />

alla rappresentazione teatrale, per cui deve rispettare alcune regole che riguardano appunto la tecnica <strong>della</strong><br />

rappresentazione. Tali regole riguardano, in particolare, le linee unitarie alle quali devono sottostare le vicende, per la<br />

difficoltà di cambiare le scene: Le famose “unità di tempo, di luogo e d’azione” furono teorizzate specialmente nel<br />

Cinquecento, in rapporto alle esigenze avanzate da Aristotele. L’opera aristotelica conteneva probabilmente anche la<br />

trattazione relativa alla poesia lirica.<br />

La formazione del pensiero di Aristotele<br />

Nella formazione <strong>della</strong> personalità di Aristotele è fondamentale il periodo in cui egli rimase alla scuola di<br />

Platone, dove giunse diciassettenne nel 367 e si trattenne un ventennio, fino al 347 (l’anno stesso <strong>della</strong> morte<br />

di Platone). In quel periodo Platone stesso procede a un ampio ripensamento critico <strong>della</strong> sua dottrina,<br />

specialmente <strong>della</strong> teoria delle idee. Infatti, a cominciare dal Parmenide, questa teoria è sottoposta a una serie<br />

3 Come osserva lo Jaeger, nell’”Eudemea” Aristotele “è assai lontano da questo atteggiameto conciliante rispetto a<br />

ciò che Platone chiama morale borghese (‘demosìa areté’). “In essa la ‘phronesis’ è an<strong>cor</strong>a, in forma del tutto esclusiva,<br />

la contemplazione dell’’arché’ divina, e senza di essa non è possibile azione morale. […] Il valore assoluto, o bene<br />

supremo, che la ragione conosce, è Dio; e questi non è da concepire come legislatore e ordinatore, come dover essere e<br />

volontà, ma come supremo essere riposante in se stesso. La volontà e il ‘comando’ sorgono solo nella ragione in quanto<br />

essa si immerge nella contemplazione di questo essere. Sommo dovere morale è perciò la scelta di tutte quelle<br />

occupazioni e azioni, e l’acquisizione di tutti quei beni, che promuovono la conoscenza di Dio: la <strong>filosofia</strong> teoretica è la<br />

via per l’educazione morale dell’uomo” (Aristotele, pp. 318 sgg.). In questo senso, Aristotele sarebbe an<strong>cor</strong>a<br />

essenzialmente “platonico”, ponendo il fine dell’uomo nella conoscenza del Bene sommo, cioè di Dio stesso.<br />

“Moralmente cattivo e riprovevole è invece tutto ciò, possesso e attività che sia, che impedisce all’uomo di servire e<br />

conoscere Dio. La conclusione dell’‘Eudemea’ è il documento classico <strong>della</strong> moralità teonoma, nel senso datole dal<br />

vecchio Platone. Dio è la ‘misura’ di tutte le cose. Salvandola dal naufragio <strong>della</strong> dottrina delle idee mercé il<br />

trasferimento nella sua etica, Aristotele ha la coscienza di conservare il nucleo duraturo <strong>della</strong> moralità platonica: cioè il<br />

concetto <strong>della</strong> norma assoluta e la trascendenza metafisica del bene” (Ibid., p. 327).<br />

407 Come osserva lo Zeller, “Aristotele dice che gli dèi amano soprattutto chi vive razionalmente, poiché si rallegrano<br />

di ciò che ad essi è affine; se gli dèi si occuperanno degli uomini lo faranno soprattutto di chi vive razionalmente, e se<br />

mai faranno un dono, sarà quello <strong>della</strong> felicità” (Op. cit., p. 14, nota 28). Riguardo, poi, al piacere come componente<br />

<strong>della</strong> vita etica, lo Zeller osserva: “Aristotele ritiene che il piacere sia un elemento <strong>della</strong> felicità, e lo difende dalle<br />

accuse che gli avevano rivolto Speusippo e Platone. Ed il suo atteggiamento ha radice in una diversa concezione <strong>della</strong><br />

natura del piacere. Platone lo aveva inserito nell’ambito del divenire, dell’essere indeterminato ed aconcettuale; per<br />

Aristotele esso è invece il compimento naturale di ogni attività, il risultato che è legato ad ogni attività giunta a<br />

conclusione, con la stessa necessità con cui la bellezza e la salute sono poste nel concetto di un <strong>cor</strong>po che abbia tutte le<br />

sue caratteristiche naturali; non è insomma un divenire di un movimento, ma il fine nel quale ogni movimento vitale<br />

trova conclusione. Quanto più nobile è una attività, tanto più alto è il piacere, e la beatitudine di Dio non è altro che il<br />

piacere che scaturisce dall’attività più perfetta” (Op. cit., pp. 14-16).

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