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Storia popolare della filosofia - prova-cor

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a escludere un radicale relativismo. Protagora, del resto, se ammette l’infinita molteplicità delle esperienze in<br />

cui appaiono le cose, ammette anche modalità “migliori” del manifestarsi delle cose stesse nell’orizzonte<br />

percettivo e quindi nello sviluppo delle descrizioni e dei dis<strong>cor</strong>si. Ci sono modi difficilmente condividibili e<br />

modi generalmente condivisi da una moltitudine di soggetti. Si tratta di vedere il punto di vista più<br />

verosimile e anche più vantaggioso per una comunità. In questo senso significativa sembra la traduzioneinterpretazione<br />

avanzata dall’Untersteiner: “L’uomo è dominatore di tutte le esperienze, in relazione alla<br />

fenomenalità di quanto è reale e alla nessuna fenomenalità di quanto è privo di realtà”. 97 Delle cose si danno,<br />

dunque, esperienze e le esperienze sono in dominio dell’uomo. I modi in cui le cose sono <strong>cor</strong>rispondono,<br />

dunque, ai modi in cui gli uomini possono averne esperienza.<br />

Poiché l’interpretazione <strong>della</strong> proposizione di Protagora ha avuto complesse vicende, conviene accennare<br />

al significato che ai singoli termini si è variamente attribuito: 1) crhma@twn : H. Gomperz traduce questo<br />

termine con “il tutto”; Natorp sostiene che il termine si riferisce ai possibili giudizi veri e falsi; Th. Gomperz<br />

intende “le cose esistenti” e accessibili all’uomo (alla mente umana); Schmid traduce con “la mutevole<br />

apparenza esteriore delle cose”; Nestle, “proprietà e valori delle cose che si presuppongono esistere e<br />

manifestarsi ai sensi, vale a dire delle qualità sensibili ed etiche”, perciò “non cose concrete, ma predicati,<br />

che si attribuiscono alle cose sul fondamento delle rappresentazioni e delle percezioni”; 98 2) meètron: il senso<br />

che si attribuisce generalmente a questo termine è quello di “criterio” (Teet. 160 b; Ipotesi Pirr., I 216);<br />

l’Untersteimer giunge alla traduzione di “dominio”, sulla s<strong>cor</strong>ta di un’espressione di Eraclito (il quale dice<br />

che il cosmo è retto da una legge che esercita il suo meètron, cioè il suo dominio sul divenire); 3) aònqropov: gli<br />

antichi interpreti e la maggior parte dei moderni (da Hegel fino a Zeller, Natorp, H. Gomperz, Rensi,<br />

Calogero, Levi) hanno inteso l’uomo nel senso individuale; Th. Gomperz ha sostenuto la tesi opposta; lo Joël<br />

ha cercato di conciliare i due significati. 99<br />

senso convenzionali sarebbero, ad esempio, i nomi coi quali si designano le “cose”, <strong>cor</strong>rispondenti a esperienze simili (è<br />

chiaro, ad esempio, che nessuno ha mai avuto esperienza <strong>della</strong> rosa ideale, ma ognuno ha visto e può sempre vedere<br />

rose particolari e diverse). Analogamente Sesto Empirico (Ipotesi pirroniane, I, 216 sgg.): “Con ‘misura’ egli intende il<br />

criterio, con ‘esperienze’ le esperienze obiettive, cosicché secondo il suo pensiero egli afferma che di tutte le esperienze<br />

obiettive misura è l’uomo, ‘in relazione alla fenomenalità di quanto è reale e alla nessuna fenomenalità di quanto è<br />

privo di realtà’. E, di conseguenza, egli ammette solo le cose che appaiono a ciascuno e, in tal modo, introduce il<br />

relativismo”. L’obiettività delle cose, dunque, non è altro che una dimensione <strong>della</strong> nostra esperienza; essa si moltiplica<br />

e si disperde in relazione alla molteplicità delle esperienze umane o alla infinita molteplicità dei modi in cui una cosa<br />

può apparire. Anche Aristotele sembra dare la stessa interpretazione relativistica (Metafisica, K 6 1062 b 12):<br />

“(Protagora) sosteneva che di tutte le esperienze misura è l’uomo e con ciò non esprime altro concetto che questo: che<br />

quanto ognuno sembra, possiede anche una realtà effettiva. Se questa proposizione è vera, ne segue che una medesima<br />

cosa esiste e non esiste, ed è male e bene e così sono vere tutte le altre proposizioni che sono svolte secondo le opposte<br />

tesi (cioè affermazione e negazione)”. E an<strong>cor</strong>a (Metafisica, IV 5 1009): “Su ogni argomento si possono avanzare due<br />

dis<strong>cor</strong>si in perfetta antitesi fra loro. Se tutte le opinioni e tutte le apparenze sono vere, ne deriva di necessità che ognuna<br />

è vera e falsa nello stesso tempo”.<br />

97 M. Untersteiner, I Sofisti, cit., p. 55.<br />

98 Per questo termine proporrei la traduzione “eventi”, nel senso di formazioni storiche che sono, appunto, disposte<br />

dagli uomini. Non può trattarsi, infatti, di “cose” già costituite nel mondo, bensì di elementi oggettivi <strong>cor</strong>relativi di<br />

azioni umane. Gli uomini, cioè, incontrano nel mondo forme che essi medesimi hanno contribuito a fondare con la loro<br />

attività conoscitiva e pratica. In definitiva, può valere l’uso del termine generico “cose”. Come spiega ampiamente<br />

l’Untersteiner, infatti, crh@ indica il bisogno che si ha o l’uso che si fa di una cosa e crh^ma designa l’oggetto così<br />

specificato. In questo senso crh^ma indica l’evento nel quale il soggetto s’imbatte o che egli stesso con<strong>cor</strong>re a istituire<br />

con la sua attività, “sia come stato di fatto di fronte al quale interviene l’azione del singolo, sia nel suo svolgersi” (I<br />

Sofisti, cit., p. 96). “La parola dunque oscilla tra il significato obiettivo di evento e quello di scopo (ciò che sta al<br />

termine di un vento), in modo da imporre il senso subbietivo di decisione. Ma una volta che la parola è stata trasportata<br />

entro questo dominio, essa può esprimere tanto il soggetto <strong>della</strong> percezione sensibile, quanto l’attività intellettuale” (Ib.,<br />

p. 97). In conclusione: “Risulta evidente che la parola crh^mata costituisce tutto quello che sta innanzi all’uomo, dal<br />

sensibile all’intelligibile, dall’evento come realtà accaduta, all’evento nel suo divenire. Questo mondo designato con<br />

crh^mata costituisce la sfera d’azione dell’uomo il quale davanti ad essa deve esercitare un’opera di interpretazione<br />

o di dominio” (Ib.).<br />

99 “Se si rifiuta completamente l’interpretazione in senso generale si toglie alla proposizione molto <strong>della</strong> sua<br />

grandezza. Essa infatti proclama, per la prima volta, il regnum hominis. Protagora non solo vuole sollevare il singolo<br />

uomo in rapporto con gli altri, ma l’uomo in sé di fronte alla natura e agli dèi. E tuttavia il sofista non si arresta all’unità<br />

dell’uomo; egli accoglie, anzi accentua il pluralismo del secolo dell’illuminismo; egli non vede solo l’uomo, ma s<strong>cor</strong>ge<br />

an<strong>cor</strong> più chiaramente gli uomini nella varietà dei loro tipi. Così Protagora parla dell’uomo in sé, ma intende anche il<br />

singolo, poiché non ha an<strong>cor</strong> veduto il contrasto tra i due. In verità con uomo intende il soggetto <strong>della</strong> conoscenza, che

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