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Storia popolare della filosofia - prova-cor

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CAPITOLO VI<br />

Platone<br />

L’intera riflessione di Platone muove dall’interrogativo sulla tragica morte di Socrate: com’era stato possibile che<br />

l’uomo considerato “più buono e più giusto” avesse subito una tale condanna da parte di una città che invece avrebbe<br />

dovuto onorarlo per la sua opera educativa e per essere esempio di saggezza e di virtù. La risposta a questa domanda è<br />

anche il senso di quella riflessione: solo lo stato giusto non avrebbe commesso il fatale errore; ma un tale stato non esiste,<br />

si può solo ipotizzare e delineare come un’utopia. Platone giunse presto alla convinzione che il problema politico si<br />

risolve solo ponendo i filosofi al governo <strong>della</strong> città o educando i governanti alla <strong>filosofia</strong>. Dunque la chiave del problema<br />

che riguarda la costruzione dell’esistenza giusta sta nella conoscenza. Platone ipotizza la <strong>filosofia</strong> come grado di<br />

conoscenza superiore (che si colloca dopo la sensazione, l’esperienza e la matematica), configurata come “dialettica”,<br />

scienza dei rapporti tra le idee, che esprimono le essenze intelligibili dei termini reali e la cui acquisizione è tratta<br />

attraverso una ricerca interiore (per cui la loro conoscenza è considerata una “reminiscenza”), di tipo intellettuale. Le<br />

idee sono anche le realtà vere e immutabili, principi <strong>della</strong> costituzione e dell’identità delle cose. Perciò, in rapporto alla<br />

concezione di un “mondo delle idee” per sé sussistente e fondamento del mondo fisico, si parla di “dualismo” metafisico.<br />

Ma bisogna ri<strong>cor</strong>dare che i due piani costituiscono gli aspetti di una medesima realtà. Innanzitutto la realtà ideale,<br />

puramente intelligibile, è molteplice, sia pure fondata su principi che si riportano all’unità (l’idea di Bene); e in secondo<br />

luogo essa sta sempre in rapporto dialettico di reciproca partecipazione con la realtà sensibile. Platone ha creato il<br />

dialogo filosofico come modello di stile adatto allo svolgimento del pensiero: attraverso il giuoco dialettico delle domande<br />

e delle risposte (che sono an<strong>cor</strong>a, a loro volta, questioni) si riproduce il metodo <strong>della</strong> ricerca per cui l’intelletto si eleva,<br />

in virtù di un esercizio di approfondimento interiore, dall’esperienza e dall’opinione, alla scienza delle idee, cioè alla<br />

piena intelligenza dell’essere proprio degli enti.<br />

Sintesi su Platone<br />

Platone intende superare la relatività <strong>della</strong> conoscenza, professata dai sofisti. Nel Teeteto troviamo la più serrata<br />

confutazione del sensismo e del relativsmo. Il relativismo ha la sua radice nell’eraclitismo, cioè nella concezione<br />

dell’universale divenire: di ogni cosa si hanno diverse sensazioni da parte dei diversi soggetti e nei diversi<br />

tempi; e così ogni cosa, producendo sempre effetti diversi, sarà sempre diversa essa medesima. Così il<br />

mutevole, oggetto di sensazioni sempre diverse, non può mai diventare oggetto di conoscenza: infatti, nel<br />

momento stesso in cui si crede di aver colto una qualche qualità e di averla fissata, già essa è mutata in<br />

qualcosa d’altro. La mobilità sensibile esclude anche che si possano indicare con gli stessi termini ciò che<br />

invece non è mai identico a se stesso. 134<br />

Bisogna, dunque, cercare di cogliere l’ente al di là delle apparenze: infatti, non il fenomeno mutevole, ma<br />

l’ente (l’idea relativa all’essere dell’ente) è oggetto di conoscenza. Se l’ente si risolve nell’apparenza mutevole, esso<br />

non può mai diventare conoscibile: infatti, nel momento in cui il soggetto tenta di conoscerlo, esso diventa<br />

altro e diverso (consistendo nella stessa mutabilità fenomenica) e non si può dire che abbia una qualche<br />

consistenza. Perciò “non si può dire che vi sia conoscenza, se tutto si tramuta e nulla sta”. 135 Nella<br />

prospettiva eraclitea del totale divenire, la conoscenza diventa un’assurda contraddizione: lo stesso rapporto<br />

conoscitivo (il rapporto gnoseologico) si dissolve e svaniscono sia il conoscente che il conosciuto. 136 Il<br />

sensibile in quanto tale esclude, dunque, la conoscenza; ciò che indichiamo come “concetto”, e che<br />

intendiamo esprimere con una definizione, non può riferirsi al sensibile, perché, come nota Aristotele, “è<br />

impossibile una definizione di alcuno dei sensibili, che sono sempre in mutazione”. 137<br />

Platone chiama “idea” l’ente in quanto non sensibile, dunque in quanto può essere oggetto di conoscenza. Così noi<br />

indichiamo come “bianco” o “nero” non questo bianco o questo nero, che possono d’un tratto mutare in altro<br />

134 Teeteto, 183 a-b. Aristotele esprime in modo conciso questo concetto: “Di ciò che si muta interamente e sotto ogni<br />

aspetto non è possibile dire nulla di vero. Da questa teoria infatti germinò l’estrema opinione di quelli chiamati o<br />

chiamantesi eraclitei, quale professò anche Cratilo, che da ultimo credeva non doversi dir parola, ma faceva solo cenni<br />

col dito, e biasimava Eraclito d’aver detto che non si possa entrare due volte nello stesso fiume; egli credeva neppure<br />

una volta” (Metafisica, IV, 5, 1010).<br />

135 Cratilo, 440 a-b.<br />

136 Ibid.<br />

137 Metafisica, I, 6, 987.

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