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Storia popolare della filosofia - prova-cor

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nuovi, venendo assimilato nello schema mitologico <strong>della</strong> religione ufficiale. Dioniso (il dio terrestre meno<br />

legato alla terrestrità) era figlio di Zeus e di Semele (figlia di Cadmo, re di Tabe). Hera, adirata, indusse i<br />

Titani a ucciderlo an<strong>cor</strong>a bambino; ma Zeus colpì i titani col fulmine e diede vita nuova vita a Dioniso, il<br />

quale rappresenta emblematicamente la vicenda del dio che muore e rinasce, assunta come simbolo<br />

dell’esistenza umana.<br />

Dioniso divenne così il simbolo <strong>della</strong> rinascita, del superamento <strong>della</strong> morte. Il suo culto era<br />

un’iniziazione a tale superamento, alla rinascita in qualcuna delle molteplici forme <strong>della</strong> vita, attraverso<br />

l’assimilazione rituale al dio, identificato col Tutto nel suo continuo processo di nascita, morte e rinascita. Il<br />

culto veniva affidato allora a comunità che conservavano quella tradizione rituale. Il “thìasos” dionisiaco era<br />

costituito da donne guidate da un sacerdote. Il rito consisteva nella “rappresentazione” <strong>della</strong> “passione” di<br />

Dioniso, in modo che tutti i partecipanti potessero usufruirne gli effetti. Esso comprendeva tre momenti: un<br />

esodo orgiastico in aperta campagna (le “baccanti” invase dallo spirito del dio si abbandonavano a danze<br />

frenetiche); una cerimonia sacrificale, durante la quale la vittima (un toro o un capro) era fatta a pezzi e<br />

mangiata cruda (dunque l’assimilazione <strong>della</strong> stessa divinità); il ritorno trionfale.<br />

Questo rituale ad Atene subì notevoli modificazioni: la “passione” di Dioniso fu oggetto di<br />

rappresentazione e la processione orgiastica divenne un inno che rievocava i momenti principali <strong>della</strong><br />

vicenda. Dall’inno sorse il ditirambo, dalla sacra rappresentazione l’evento teatrale, cioè la tragedia. Ad<br />

Atene le “Grandi Dionisiache” duravano almeno cinque giorni. Il primo giorno si incominciava con la<br />

processione: l’immagine di Dioniso Eleuterio era tolta dal tempio in cui stava collocata tutto l’anno ed era<br />

portata fuori <strong>della</strong> città in un tempietto accanto all’Accademia, sulla strada di Eleutera (un villaggio fra<br />

l’Attica e la Beozia). L’immagine era s<strong>cor</strong>tata dagli “epheboi”, che procedevano armati; seguivano gli animali<br />

destinati al sacrificio e le vergini che recavano in testa canestri con gli strumenti del sacrificio, e quindi la<br />

folla (coi più ricchi sui loro cocchi e adorni di <strong>cor</strong>one e maschere). Sulla piazza del mercato un <strong>cor</strong>o innalzava<br />

inni alle statue dei Dodici Dèi; poi la processione procedeva fino all’Accademia. L’immagine di Dioniso<br />

veniva deposta su un basso altare, si cantavano inni in suo onore e si sacrificavano gli animali. Al cader<br />

<strong>della</strong> notte, la processione tornava in città, alla luce delle torce: ma, invece di essere riportata nel suo tempio,<br />

l’immagine del dio veniva s<strong>cor</strong>tata dagli efebi fino al teatro e deposta su un altare al centro dell’orchestra,<br />

ove rimaneva fino al termine <strong>della</strong> festa.<br />

Gli altri giorni erano dedicati alle competizioni teatrali (anch’esse indicate col nome di “agòn”). Le<br />

competizioni erano di due specie: drammatiche e ditirambiche. Queste erano di due tipi: uno si svolgeva tra<br />

cinque <strong>cor</strong>i si fanciulli, l’altro fra cinque <strong>cor</strong>i di adulti (introdotti dopo la caduta <strong>della</strong> tirannide). Il poeta<br />

poteva essere egli stesso <strong>cor</strong>ifeo, come Archiloco di Paro: improvvisava le strofe e accompagnava i ritornelli.<br />

In un secondo momento, invece di essere cantato durante la processione, il ditirambo fu recitato in piedi,<br />

accanto all’altare: si chiamò “stàsimon” o “canto da dirsi in piedi”, stando fermi. Il tema dei ditirambi<br />

doveva essere <strong>cor</strong>rispondente al rito che si stava celebrando, cioè la passione di Dioniso. E poiché il <strong>cor</strong>ifeo<br />

forse impersonava il dio, ci troviamo di fronte al primo germe del dramma rituale. Quando il <strong>cor</strong>ifeo<br />

cominciò a parlare come “personaggio”, il ditirambo si trasformò in sacra rappresentazione. Il ditirambo in<br />

un secondo momento assunse due forme diverse: una forma, più propriamente musicale, rimase più<br />

aderente al nucleo originario (musica e canto), la figura principale divenne dil suonatore di flauto, la musica<br />

prevaleva sulla parola e l’elemento mimetico-drammatico scomparve; nella seconda forma dominò la parola<br />

e acquistò maggiore sviluppo l’azione drammatica, con la partecipazione di un attore e poi di due e di tre.<br />

La tragedia nacque, dunque, dalla rappresentazione <strong>della</strong> passione di Dioniso. Dioniso è il dio che<br />

assicura il riscatto dalla condizione di limite, di colpa e di sofferenza propria dell’uomo. Ogni<br />

rappresentazione tragica riguarda una vicenda che ha il modello nell’espiazione di una colpa e in un atto di<br />

liberazione da una condizione di sofferenza e di morte. La tragedia esprime, perciò, nella sua forma<br />

generale, l’aspirazione dell’uomo a una condizione di libertà, di pacificazione con tutti gli aspetti <strong>della</strong> vita<br />

universale.<br />

L’orfismo<br />

Allo scopo di ridimensionare il privilegi politici <strong>della</strong> vecchia aristocrazia, Pisistrato cercò di ridurre il<br />

suo controllo sul culto, appoggiando l’introduzione ad Atene di culti popolari, specialmente di quello di<br />

Dioniso. Già Periandro, tiranno di Corinto, aveva accolto presso la sua <strong>cor</strong>te Arione di Metimna, l’inventore<br />

del ditirambo (il canto <strong>cor</strong>ale in onore di Dioniso).<br />

Nel <strong>cor</strong>so del VI secolo a. C. si diffuse un nuovo culto di Dioniso, identificato con l’orfismo. Secondo la<br />

versione più antica <strong>della</strong> leggenda, codificata da Eschilo nella “Licurgia”, Licurgo re degli Edoni in Tracia<br />

aveva tentato di opporsi alla diffusione del culto di Dioniso e, per impedire ogni orgia, aveva fatto

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