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Storia popolare della filosofia - prova-cor

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carattere trascendentale (relativo alla costituzione universale del soggetto) <strong>della</strong> scienza del mondo<br />

fenomenico.<br />

Gli idealisti hanno tentato di ricostituire l’unità dell’essere e del pensiero, ma in realtà hanno risolto le<br />

strutture ontologiche nelle categorie logiche, proclamando, inevitabilmente, l’assunzione <strong>della</strong> logica (in<br />

quanto scienza <strong>della</strong> razionalità del reale) a metafisica. Analogamente, il tentativo di ristabilire la<br />

connessione dell’ente con l’essere si è risolto quasi generalmente nell’affermazione di un Assoluto nel quale<br />

l’ente finito perde la sua stessa ragion d’essere.<br />

La rivendicazione quasi violenta dell’autonomia del finito operata dalle filosofie post-hegeliane ha<br />

praticamente portato a quella crisi generale <strong>della</strong> metafisica, che ha in Nietzsche il suo interprete più<br />

conseguente. Nietzsche ha riassunto questa condizione del pensiero (e dell’intera temperie culturale) con la<br />

famosa constatazione che “Dio è morto”, cioè che si sono dissolte tutte le concezioni metafisiche relative al<br />

fondamento, ai princìpi e ai valori ontologici, a ogni ipotesi di rapporto tra l’essere e l’ente e a ogni idea di<br />

“ragion d’essere” o di senso del mondo e dell’esistenza. In questo modo siamo giunti all’epoca che ormai<br />

con<strong>cor</strong>demente è chiamata come “età del nichilismo”.<br />

Il “ritorno a Parmenide”, invocato recentemente da Emanuele Severino, appare come il rimedio per la crisi<br />

profonda che il mondo occidentale sta attraversando. Ma in che modo potrebbe oggi configurarsi la<br />

ricostituzione dell’unità di essere ed ente e di essere e pensiero? Quali potrebbero essere le linee di una<br />

<strong>filosofia</strong> neoeleatica? La via indicata e in gran parte per<strong>cor</strong>sa da Heidegger ci sembra an<strong>cor</strong>a quella più<br />

verosimile. In particolare, la riproposizione dell’analitica esistenziale come indagine intorno al senso<br />

dell’essere avrebbe il vantaggio di muoversi in un ambito, si può dire, di ricongiunzione dell’essere e<br />

dell’ente (anche se questo è emblematicamente assunto nell’esistenza dell’uomo). L’analisi <strong>della</strong> condizione<br />

umana dovrebbe costituire il presupposto per un dis<strong>cor</strong>so, che sia insieme “ontico” e “ontologico”, cioè che<br />

riguardi il senso degli enti e il senso dell’essere in generale. Il dis<strong>cor</strong>so sulle cose, su tutto ciò che appartiene<br />

al dominio <strong>della</strong> natura e a quello <strong>della</strong> tecnica, va approfondito, secondo punti di vista che significhino il<br />

più possibile un superamento <strong>della</strong> prospettiva antropocentrica. Si può, ad esempio, sviluppare un dis<strong>cor</strong>so<br />

sulla natura, in modo che questa emerga come una sfera dotata di prerogative e caratteri propri, anche<br />

indipendentemente da tutto ciò che può apparire legato alla condizione dell’uomo? Si può, cioè, parlare<br />

an<strong>cor</strong>a di un “essere” <strong>della</strong> natura? In primo luogo, ci sembra che il divieto parmenideo riguardi, appunto, la<br />

separazione dell’essere dall’ente e che, pertanto, lo sviluppo <strong>della</strong> metafisica vada perseguito nella forma<br />

dell’indagine intorno all’essere dell’ente. La costituzione di un complesso di “ontologie regionali” (secondo<br />

il progetto fenomenologico delineato già da Husserl) potrebbe essere presa in considerazione come possibile<br />

compito <strong>della</strong> <strong>filosofia</strong> (come rinnovata metafisica) nel contesto attuale. Se si dà un essere dell’ente, allora<br />

risulterà anche improbabile un destino dell’ente nel senso (tanto enfatizzato da Severino) del continuo venire<br />

di esso dal nulla e dissolversi in questo medesimo. L’ente che viene dall’essere a ad esso ritorna ha la<br />

consistenza dell’essere stesso.<br />

Questioni platoniche. Giovanni Reale, Per una nuova interpretazione di Platone, Vita e Pensiero, Milano<br />

1991.<br />

Reale si propone di presentare il pensiero di Platone come un sistema organico, utilizzando anche le<br />

dottrine non scritte. Egli, in primo luogo, cerca di uscire dal paradigma dominante, che è quello canonizzato<br />

dallo Schleiermacher e che si basa sull’enucleazione del pensiero platonico esclusivamente dai dialoghi,<br />

senza tenere conto <strong>della</strong> tradizione indiretta. Questo paradigma, in effetti, risulta ora inadeguato, dato che si<br />

è venuto sempre meglio definendo l’importanza di questa tradizione. In questo senso, oggi risulta<br />

maggiormente rispondente all’esigenza di una ricostruzione totale del pensiero di Platone il paradigma<br />

elaborato dalla Scuola di Tubinga, che, appunto, ha il pregio di consentire di inquadrare nella complessiva<br />

<strong>filosofia</strong> platonica anche gli elementi propri <strong>della</strong> tradizione non scritta.<br />

Questo paradigma, precisato dal Gadamer, si collega alla tradizione dell’Antica Accademia, quale ci è<br />

attestata dai discepoli diretti di Platone, cioè da Aristotele, Speusippo e Senocrate.<br />

Spetta ad Aristotele la testimonianza intorno a quella forma di metafisica platonica che si basa sui<br />

“princìpi” primi, l’Uno e la Diade illimitata, e secondo cui le Idee deriverebbero da questi princìpi, assunti<br />

come la causa formale e la causa materiale di esse. Scrive, infatti, Aristotele: “Risulta chiaro che Platone ha<br />

fatto uso di due sole cause: di quella formale e di quella materiale. Infatti le Idee sono cause formali delle<br />

altre cose, e l’Uno è causa formale delle Idee. E alla domanda quale sia la materia avente funzione di<br />

sostrato, di cui si predicano le Idee nell’ambito dei sensibili, e di cui si predica l’Uno nell’ambito delle Idee,<br />

egli risponde che è la Diade, cioè il grande-e-piccolo” (Metafisica, A 6, 988 a 9-14). Aristotele ci testimonia,

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