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Storia popolare della filosofia - prova-cor

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deve pur prendere una decisione e <strong>cor</strong>rere qualche rischio. La persuasione, in tal caso, può riuscire<br />

opportuna, così come, in molti casi, l’opinione vera, ispirata o no da una qualche specie di intuizione divina,<br />

è il solo strumento di cui dispone l’intelligenza pratica, impegnata nell’azione. Queste sono le<br />

argomentazioni condotte da Gorgia e Polo.<br />

Callicle, da parte sua, in coerenza con l’indirizzo <strong>della</strong> politica ateniese del tempo, considera la retorica<br />

come lo strumento di cui si servono legittimamente gli individui che, per capacità e doti personali, sono<br />

destinati a governare; ed egli individua tali doti nell’intelligenza e nel <strong>cor</strong>aggio: i più intelligenti e i più<br />

<strong>cor</strong>aggiosi è giusto che comandino e si servano <strong>della</strong> retorica per imporre il loro punto di vista alla<br />

moltitudine. E’ questa una tesi che prescinde da ogni preoccupazione morale.<br />

Invece è proprio per quest’uso politico che Socrate condanna la retorica: essa non aiuta gli uomini a ricercare il<br />

vero scopo <strong>della</strong> loro vita e a vivere secondo questo fine. Invece la <strong>filosofia</strong> si propone di definire ciò che all’uomo<br />

assicura la felicità in questa vita e dopo la morte. Essa è una specie di religione: non un insieme di riti e<br />

credenze, legato alla tradizione di un popolo e perciò relativo, ma lo stesso legame dell’uomo con la verità.<br />

La retorica, che prescinde dall’accertamento del vero, è l’opposto <strong>della</strong> <strong>filosofia</strong>. Platone combatte la retorica<br />

specialmente sul terreno politico, in rapporto alle conseguenze che ha sulla vita <strong>della</strong> città una dottrina che<br />

non si propone come suo scopo la scoperta del vero, ma si presenta come uno strumento che assicura il<br />

potere ai “più forti”, sia pure intesi come più intelligenti e più <strong>cor</strong>aggiosi.<br />

Platone tiene presente la situazione politica di Atene e trae tutte le conseguenze intorno al giudizio da<br />

esprimere sugli uomini politici che ne hanno retto le sorti. Questi hanno in realtà alimentato gli istinti<br />

bellicisti del popolo, perseguendo disegni di espansione imperialistica; invece avrebbero dovuto “educare” il<br />

popolo alla giustizia e alla temperanza.<br />

L’obiettivo del filosofo è la definizione <strong>della</strong> giustizia. Infatti il compito dell’uomo, in assoluto, è di cercare<br />

di attuare la vita giusta nella dimensione del suo essere e in quella <strong>della</strong> società. 186 Questo compito è<br />

qualcosa che riguarda l’uomo nel suo essere proprio. Perciò Socrate qui parla <strong>della</strong> vita dell’uomo giusto in<br />

questa vita e, poi, mediante un mito, del destino riservato dopo la morte. 187 L’indagine filosofica qui si unisce<br />

alla fede religiosa e l’unica retorica che viene giustificata è quella messa al servizio <strong>della</strong> verità: poiché la<br />

retorica ha il compito di rendere accessibili a tutti le verità più ardue e profonde. Solo il filosofo, ovviamente, può<br />

fare un tale uso <strong>della</strong> retorica. Negli altri casi, la retorica serve ad assecondare le basse passioni.<br />

Il “Menone”<br />

Il Menone è una pietra miliare nello svolgimento del pensiero di Platone: in esso è posto il problema<br />

metafisico dell’essere dell’ente e <strong>della</strong> sua conoscibilità. Dunque è posto il problema <strong>della</strong> verità.<br />

Il pretesto del dialogo è il problema <strong>della</strong> virtù, ripetutamente ri<strong>cor</strong>rente nei dialoghi socratici. Menone<br />

vuole vedere se la virtù possa essere insegnata: se nasca naturalmente nell’uomo o se è il risultato di un<br />

lungo esercizio, in ogni modo come possa essere raggiunta.<br />

L’esordio di Socrate è una confessione di estrema difficoltà: “sono povero” egli dice, alludendo a una<br />

situazione d’esistenza particolare, caratterizzata non solo dall’assenza di un determinato sapere bensì da una<br />

mancanza più radicale che riguarda il modo d’essere. Socrate dice d’essere povero non tanto nel senso che<br />

egli “non ha” ma soprattutto nel senso che egli “non è”. L’essere povero è una condizione di non<br />

partecipazione alla verità: indica il non essere (o trovarsi) nella luce <strong>della</strong> verità, nella trasparenza dell’essere.<br />

Socrate non sa nulla <strong>della</strong> virtù e si tratta di vedere come si possa passare al possesso di qualcosa di cui si è<br />

mancanti. Egli, tuttavia, gioca quella carta <strong>della</strong> consapevolezza di non sapere che è il tratto distintivo <strong>della</strong><br />

sua condizione di filosofo. Bisogna partire da quella consapevolezza per potere conseguire qualsiasi<br />

conoscenza. Socrate non solo non sa “che cosa” (l’essere dell’ente) è la virtù, ma non ha mai incontrato<br />

qualcuno che lo sapesse. Menone invece crede di essere al sicuro per quanto riguarda il “che cosa”; il suo<br />

problema è un altro, se la virtù (già per lui determinata) sia insegnabile e come. Ma quella presunta sicurezza<br />

si basa su un equivoco: egli infatti distingue la virtù dell’uomo, <strong>della</strong> donna, del fanciullo, del vecchio e così<br />

via. Di quale virtù intende parlare Socrate? Di quella dell’uomo? Essa è la capacità di fare vita politica,<br />

beneficando gli amici, danneggiando i nemici, procurando in ogni modo di non averne danno. Socrate mette<br />

in rilievo l’equivoco. Supponiamo che si ponga il problema di “che cosa sia” l’ape. Si dice qualcosa intorno<br />

alla “essenza” dell’ape, dicendo che le api sono molte e di molte specie?Bisogna porre il problema di ciò per<br />

186 La giustizia è il fondamento <strong>della</strong> legalità secondo cui è ordinata la vita umana. “Chi se ne intende dice, o Callicle, che cielo,<br />

terra, dèi, uomini, sono collegati in un tutto grazie all’unione, all’amicizia, all’armonia, alla temperanza, alla giustizia, e che per tale<br />

ragione questo tutto è chiamato cosmo (ordine), e non acosmia (disordine) e dissolutezza” (Gorgia, 507 e).<br />

187 Secondo il mito esposto da Socrate, le anime si presentano nude al giudizio finale, coi segni delle malattie che le hanno<br />

contaminate, in modo che nessuna possa sfuggire alla pena.

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