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Storia popolare della filosofia - prova-cor

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gratificante. Così è anche, ad esempio, dell’operare artistico: l’artista ama le proprie opere, anche se non<br />

recano alcun particolare vantaggio. “Causa di ciò è che per tutti l’essere è oggetto di desiderio e d’amore, e<br />

noi siamo nell’atto: nel vivere e operare. Nell’atto esiste in certo modo chi compie l’opera: ed ama l’opera<br />

perché ama anche l’essere. “Ciò è naturale: perché ciò che è in potenza, questo l’opera lo esprime in atto”. 379<br />

L’attività, l’essere attivo, è propria dell’uomo; e tale condizione si realizza essenzialmente nella vita<br />

sociale, nei rapporti con gli altri. La vita solitaria, invece, essenzialmente inattiva ed è, perciò, contraria alla<br />

natura umana. Nella vita attiva si realizza, dunque, la felicità dell’uomo.<br />

La politica<br />

La politica riguarda quel bene che è ricercato non da un solo individuo (o dall’individuo isolatamente) ma<br />

da società, nazioni e stati. Un tale bene è definito da Aristotele come “più bello e divino”. 380 L’uomo è, infatti,<br />

“per natura animale sociale”. 381 Egli è capace di vivere in società, in quanto può discernere il bene dal male,<br />

l’utile e il dannoso, il giusto e l’ingiusto, ed è fornito di linguaggio, per cui comunica in modo completo e al<br />

livello superiore del pensiero. Nella società l’uomo realizza anche il suo interesse e riesce non solo a<br />

sopravvivere ma a vivere bene. 382 Così, tutte le forme di associazione con<strong>cor</strong>rono a tale fine, più di tutte,<br />

“quella che si chiama stato e società politica”. 383 Non solo lo stato consente agli uomini di trarre vantaggio<br />

dagli scambi reciproci e di non recarsi offesa, ma assicura loro anche il “viver bene, cioè vivere felici e<br />

virtuosi”. 384 Nello stato, quindi, l’uomo realizza pienamente le sue potenzialità e raggiunge “una vita<br />

perfetta e sufficiente a sé”.<br />

Aristotele mette in rilievo la continuità tra la forma storica dello stato e le condizioni del suo permanere.<br />

Attraverso il flusso continuo delle vicende, il trapassare delle generazioni e il volgere dei tempi, lo stato<br />

mantiene la sua forma permanente (come un fiume che è sempre lo stesso, “pur nel flusso perenne delle<br />

acque che sopraggiungono e se ne vanno” 385 ). La forma dello stato è la sua costituzione; e se questa permane<br />

invariata, si può dire che lo stato mantiene la sua identità. La costituzione, infatti, fissa e regola i rapporti tra<br />

i cittadini e i ruoli delle parti e delle classi. Importante è la stabilità delle leggi. 386 Ciò che è importante, nella<br />

sfera politica, è che una costituzione si mantenga e che nella sua struttura sia fatta per assicurare la<br />

continuità dello stato. 387<br />

I cittadini sono gli uomini liberi che, in uno stato, hanno il diritto di “partecipare al potere deliberativo e<br />

giudiziario” e che sono capaci di bastare a se stessi (nel senso economico). Virtù del buon cittadino è il<br />

sapere, insieme, ubbidire e comandare, cioè possedere “l’autorità degli uomini liberi sotto ambo gli aspetti”. 388 Il<br />

cittadino, cioè, esercita il potere e, insieme, si sottomette alla legge. I cittadini liberi sono quelli che<br />

dispongono del tempo necessario per dedicarsi agli affari pubblici, cioè al governo dello stato e alle varie<br />

incombenze dell’amministrazione pubblica. Perciò non possono essere quelli che sono impegnati in un<br />

lavoro continuativo. Cittadini, in questo senso, sono quelli “politicamente attivi” (diremmo oggi), cioè (dice<br />

Aristotele) “quanti sono affrancati dai lavori necessari”. 389 Dunque sono esclusi i lavoratori, sia quelli<br />

379 Et. Nicom., IX, 7, 1167.<br />

380 Et. Nicom., I, 2, 1094.<br />

381 Politica, I, 1, 1253.<br />

382 Pol., III, 5, 1280.<br />

383 Pol., I, 1, 1252.<br />

384 Pol., III, 6, 1280.<br />

385 Pol., III, 1, 1276.<br />

386 “E’ evidente che tra le leggi alcune e talora vanno mutate […]. Ma è male abituare [i cittadini] a mutar facilmente<br />

le leggi […]. Poiché la legge non ha alcuna forza per essere ubbidita fuor che nell’abitudine; e questa non si forma se<br />

non con l’ampiezza del tempo; sicché il facile mutare delle leggi esistenti con altre nuove è indebolire il potere <strong>della</strong><br />

legge” (Pol., II, 5, 1269).<br />

387 Pol., VI, 6, 1037. Condizioni di stabilità sono: la vigilanza sull’osservanza delle leggi e sulle an<strong>cor</strong> piccole<br />

violazioni, affinché non si insinui la benché minima irregolarità; la vigilanza sulle spese, affinché lo sperpero non mandi<br />

a poco a poco in rovina le sostanze pubbliche; il divieto ai magistrati di trarre profitti personali dalla gestioni dei propri<br />

uffici (V,m 7, 1308); il consenso <strong>della</strong> maggioranza verso la costituzione (V, 7, 1309); infine lo sviluppo di una<br />

educazione appropriata alla costituzione (V, 8, 1310).<br />

388 Pol., II, 2, 1277.<br />

389 Pol., II, II, 3, 1278.

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