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F ABRIZIO P AGNONI<br />
che: «Se dice chi vuol essere del consilio di Bressa bisogna essere parente<br />
de una di queste case, videlicet Sali, Averoldi, Lani, Porcellaghi et Bochi,<br />
hor guardati a que modo potiamo esser governati, ma vi dico quello se<br />
dice per la terra, videlicet per la cità de Bressa, deseno che sono tre toni<br />
ed uno fosti, che vuol dir Antonio Averoldo, Antonio Lana, Antonio<br />
Bocca et Fosti Stella […]. O Dio tanta iniquità et tanta partialità regna<br />
che se usasse scrivere ogni cosa convenieria aver uno rismo di carta et<br />
credo non bastaria». Riferendosi poi ai responsabili di questa situazione,<br />
assicura che continuando così essi «finiranno davanti ad uno iudice<br />
al qual non gli valerà dir son di una dili ilustrissimi 5 case», perché li<br />
farà pentire di «haver fatto tale scelerità» 81 .<br />
A parecchi anni di distanza, dunque, il Nassino utilizza di nuovo il termine<br />
partialità: conviene però riflettere un poco sul senso che il cronista<br />
dà a questa parola nel 1542. Affrettarsi a qualificare il termine alla<br />
stessa maniera in cui il cronista lo utilizzava un paio di decenni prima<br />
è un’operazione ad alto rischio: a metà XVI secolo, non solo nello Stado<br />
da terra veneziano ma genericamente in tutta l’area padana, la parzialità<br />
non può più essere intesa come scontro tra fazioni guelfe e ghibelline<br />
per il conseguimento di specifici obiettivi politici su scala locale e<br />
sovralocale 82 . Ci sono, è vero, alcune aree nelle quali qualcosa di simile<br />
si verifica ancora, ma si tratta di sacche di resistenza, di hapax legòmenon<br />
nella storia delle fazioni. La partialità a cui Pandolfo fa riferimento<br />
è ormai intesa come la lotta serrata tra famiglie del consiglio cittadino<br />
che, forti del loro potere acquisito attraverso la cooptazione di cariche,<br />
uomini e risorse informali di potere, sono arrivate ad avere un’influenza<br />
eccessiva sul Consiglio stesso. Sala, Averoldi, Lana, Porcellaga e Bocca,<br />
famiglie che nel Quattrocento e nel primo Cinquecento risultavano<br />
sì nella massima espressione politica bresciana, ma non erano tanto<br />
forti da mettersi alla guida degli schieramenti politici di fazione, obnubilati<br />
dalla potenza di Martinengo, Avogadro e Gambara. Ora invece,<br />
esauritasi con le guerre d’Italia la spinta egemonica che guidava le tre<br />
grandi schiatte feudali, «occorre essere parente di una di queste case»<br />
per poter accedere al Consiglio: parente in senso stretto, e cioè di mem-<br />
81 NASSINO, Registro, c. 367r.<br />
82 GENTILE, «Postquam malignitates», pp. 269-270.