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138<br />

F ABRIZIO P AGNONI<br />

che: «Se dice chi vuol essere del consilio di Bressa bisogna essere parente<br />

de una di queste case, videlicet Sali, Averoldi, Lani, Porcellaghi et Bochi,<br />

hor guardati a que modo potiamo esser governati, ma vi dico quello se<br />

dice per la terra, videlicet per la cità de Bressa, deseno che sono tre toni<br />

ed uno fosti, che vuol dir Antonio Averoldo, Antonio Lana, Antonio<br />

Bocca et Fosti Stella […]. O Dio tanta iniquità et tanta partialità regna<br />

che se usasse scrivere ogni cosa convenieria aver uno rismo di carta et<br />

credo non bastaria». Riferendosi poi ai responsabili di questa situazione,<br />

assicura che continuando così essi «finiranno davanti ad uno iudice<br />

al qual non gli valerà dir son di una dili ilustrissimi 5 case», perché li<br />

farà pentire di «haver fatto tale scelerità» 81 .<br />

A parecchi anni di distanza, dunque, il Nassino utilizza di nuovo il termine<br />

partialità: conviene però riflettere un poco sul senso che il cronista<br />

dà a questa parola nel 1542. Affrettarsi a qualificare il termine alla<br />

stessa maniera in cui il cronista lo utilizzava un paio di decenni prima<br />

è un’operazione ad alto rischio: a metà XVI secolo, non solo nello Stado<br />

da terra veneziano ma genericamente in tutta l’area padana, la parzialità<br />

non può più essere intesa come scontro tra fazioni guelfe e ghibelline<br />

per il conseguimento di specifici obiettivi politici su scala locale e<br />

sovralocale 82 . Ci sono, è vero, alcune aree nelle quali qualcosa di simile<br />

si verifica ancora, ma si tratta di sacche di resistenza, di hapax legòmenon<br />

nella storia delle fazioni. La partialità a cui Pandolfo fa riferimento<br />

è ormai intesa come la lotta serrata tra famiglie del consiglio cittadino<br />

che, forti del loro potere acquisito attraverso la cooptazione di cariche,<br />

uomini e risorse informali di potere, sono arrivate ad avere un’influenza<br />

eccessiva sul Consiglio stesso. Sala, Averoldi, Lana, Porcellaga e Bocca,<br />

famiglie che nel Quattrocento e nel primo Cinquecento risultavano<br />

sì nella massima espressione politica bresciana, ma non erano tanto<br />

forti da mettersi alla guida degli schieramenti politici di fazione, obnubilati<br />

dalla potenza di Martinengo, Avogadro e Gambara. Ora invece,<br />

esauritasi con le guerre d’Italia la spinta egemonica che guidava le tre<br />

grandi schiatte feudali, «occorre essere parente di una di queste case»<br />

per poter accedere al Consiglio: parente in senso stretto, e cioè di mem-<br />

81 NASSINO, Registro, c. 367r.<br />

82 GENTILE, «Postquam malignitates», pp. 269-270.

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