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64<br />

S EVERINO B ERTINI<br />

mancava mai in questi opifici, versando direttamente la quota spettante.<br />

Attraverso l’attività molitoria, i Comuni potevano inoltre realizzare<br />

degli utili che annualmente venivano ripartiti sulle teste e sulle bocche<br />

degli abitanti. Non sorprende, quindi, che nelle piccole comunità contadine<br />

la cui miserabilità era uno spettro con cui fare i conti quotidianamente,<br />

l’importanza strategica di questi edifici fosse al centro di aspre<br />

lotte tra gli antichi originari, proprietari degli edifici, e i forestieri che<br />

venivano esclusi dalla ripartizione degli utili.<br />

Non è da sottovalutare nemmeno la loro importanza sociale e civile. Le<br />

istituzioni proprietarie, che potevano essere Comuni, monasteri, Curie<br />

vescovili, si trovavano in mano un efficace strumento di controllo sociale.<br />

Agli abitanti del territorio, compresi i forestieri, veniva sistematicamente<br />

vietata la macinazione in mulini «stranieri» e in caso di disobbedienza<br />

scattavano meccanismi di dissuasione, come multe salate o<br />

divieti di vario genere, in grado di ridurre sul lastrico qualsiasi contadino.<br />

I proprietari di questi opifici avevano in mano un eccellente strumento<br />

per esercitare pressioni, controllare e punire la popolazione, e<br />

non esitavano ad utilizzarlo per conservare saldamente nelle proprie<br />

mani il potere. A partire da queste considerazioni non dovrebbe stupire<br />

il fatto che, al contrario, i mulini fossero anche un bersaglio privilegiato<br />

di individui, o parte della popolazione, che con atti vandalici cercavano<br />

di esercitare pressioni, se non ricattare, le istituzioni. Raimondi Sigismondo,<br />

notaio di Prandaglio, scriveva in una supplica che a memoria<br />

d’uomo la comunità di Prandaglio teneva pacificamente e senza contraddizione<br />

alcuna una travata sul Chiese sul territorio di Prandaglio<br />

per condurre acqua ai mulini per macinare. La travata venne distrutta<br />

nottetempo con gravissimo danno e spesa del Comune e senza sapere<br />

«chi siano stati tali delinquenti».<br />

Il «povero Comune» venne costretto a rifarla in quanto «non tenir essa<br />

trabata» sarebbe stata «l’estrema ruina di detta terra»; e per «oviar anco<br />

alli scandali et disordeni» che sarebbero potuti sorgere la Vicinia nominò<br />

un procuratore per comparire «alli piedi del Serenissimo Principe»<br />

della inclita città di Venezia per «dimandar et ottener […] suffragii o<br />

lettere direttive alli illustrissimi signori Rettori di Brescia» di conferma<br />

dell’antico possesso della travata da parte del Comune. Nel caso in cui<br />

qualcuno avesse avanzato obiezioni, si sarebbe potuta escogitare una

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