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“LO MEGLIO SARIA NON HAVER PARCIALITÀ”<br />

nel Nassino sembra essere confermato anche da un altro “cartello”, il<br />

cosiddetto «codicillo fato del anno 1534 nela cità de Bressa» 100 , di gran<br />

lunga lo scritto più velenoso e verbalmente aspro riportato nel Registro.<br />

Si tratta di un fantasioso testamento morale attribuito dagli anonimi<br />

autori al cittadino Mario Confalonieri, in quel periodo tenuto prigioniero<br />

a Venezia. Il codicillo ribolle di accuse infamanti contro membri<br />

del consiglio cittadino e, a differenza del cartello precedente, si scaglia<br />

contro l’immoralità non solo della politica, ma anche della vita privata<br />

degli accusati. Mario Confalonieri lascia a vari esponenti illustri della<br />

cittadinanza una serie di azioni, gesti, cose, che qualificano negativamente<br />

la moralità dei beneficiari: «carra doi al anno de fino mal franzoso»,<br />

«l’amazar di notte et far vendette secrete, foter per forza», «il<br />

tradir, et maxime compagni cum quali son sta fratelli», «el sodomitar<br />

senza un rispetto al mondo», il «non esser fioli de chi li ha alevati». È<br />

difficile stabilire se tutte queste “eredità” corrispondessero allora ad effettivi<br />

comportamenti poco edificanti da parte della classe aristocratica.<br />

Ma il commento del cronista in calce al codicillo è eloquente: «Et se per<br />

queste cose, lectori, vi festi meraviglia dil scriver mio cum dir che non<br />

sono da mettere in memoria, la causa è che ognuno debeno esser homini<br />

dabene et seguitar quello che lo dover vole, aciò non fussero messi in<br />

simil trama […]». Il Nassino lascia memoria di questo testamento fittizio<br />

quasi a monito dell’obbligo, per tutti i membri del ceto dirigente, di<br />

essere uomini dabbene e ligi al proprio dovere “pubblico”: ecco perché<br />

vale la pena di trascrivere un libello così polemico e violento che anche<br />

lo stesso cronista dichiara di non esser sicuro di voler trascrivere.<br />

Questo codicillo è una delle ultime manifestazioni, all’interno del Registro,<br />

della critica sociale più o meno velata da parte del cronista nei confronti<br />

della aristocrazia cittadina del suo tempo. Poche pagine più<br />

avanti si trova il già citato verbale della seduta di insediamento del Consiglio<br />

rinnovato nel 1542, nel quale apertamente Pandolfo fa i nomi e i<br />

cognomi dei principali responsabili della degenerazione della politica<br />

bresciana: un’accusa forte e diretta mossa da un esponente (sia pure<br />

minore) di quella stessa aristocrazia, che sta conoscendo, dopo le vicende<br />

belliche rovinose anche per la stabilità interna degli anni 1509-1516,<br />

100 NASSINO, Registro, c. 292v.<br />

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