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“LO MEGLIO SARIA NON HAVER PARCIALITÀ”<br />
cittadella: non è solo uno scontro tra famiglie per conquistare fette di<br />
potere cittadino, ma una lotta che ha un’ulteriore sviluppo inserendosi<br />
in un quadro politico più ampio, e coordinandosi con le lotte in atto tra<br />
le potenze regionali.<br />
Pandolfo Nassino non è solo un uomo di parte: è anche un appartenente<br />
al ceto dirigente cittadino, che nelle pagine della sua cronaca manifesta<br />
una posizione decisamente negativa e di condanna rispetto alla cattiva<br />
gestione della politica cittadina da parte dell’aristocrazia di governo, in<br />
particolare di quelle famiglie che, cresciute nei decenni precedenti all’ombra<br />
dei grandi casati feudali, ora sono in grado di dispiegare liberamente<br />
il loro potere 102 . Le sue accuse, dirette o mediate dallo strumento dei “cartelli”<br />
riportati, sono tanto più significative quanto più ci si rende conto<br />
che egli non è un antico nobile, e che il suo non è un prestigioso lignaggio<br />
decaduto, ma che viene da una famiglia cittadina emergente proprio attraverso<br />
la contribuzione alla gestione del potere politico in città.<br />
Questo dualismo tra l’essere partiale e l’appartenere ad un patriziato ha<br />
dei riscontri effettivi anche nel linguaggio che Pandolfo usa nella cronaca.<br />
Egli alterna due diversi codici espressivi: da una parte quello di un<br />
tipico membro dell’aristocrazia di governo pieno cinquecentesca che<br />
considera l’anacronismo delle fazioni e prega i cittadini di demeterle, di<br />
abbandonarle, adducendo con chiarezza di giudizio che ormai, nell’ Italia<br />
dei grandi principati (e delle potenze estere), esse non hanno più senso<br />
e peso reale, non sono più in grado di spostare davvero gli equilibri<br />
politici. Dall’altra parte, il Nassino non può negare di essere un uomo<br />
inserito in una catena di fedeltà che lo lega, di volta in volta, a qualche<br />
personaggio influente, del quale tesse le lodi quasi ne fosse cortigiano.<br />
In questo egli è ancora un uomo del suo tempo: lo si vede calato nella<br />
parte del sequace del Paitone e del Martinengo, o partecipare attivamente<br />
alle cariche pubbliche derivategli dal suo seggio consiliare, e si nota<br />
102 Questa tesi è più che altro una sensazione personale per ora poco corroborata da fonti<br />
e prove sicure. Meriterebbe però più di un approfondimento, in quanto si tratta di un periodo<br />
determinante per la storia di Brescia e delle sue istituzioni: se un secolo prima la Dedizione<br />
consegna la città ed il suo contado a Venezia, a cui rimarrà per oltre Trecento anni,<br />
mi pare non meno gravida di conseguenze la fase storica che contribuisce ad accentrare<br />
il potere nelle mani di alcune famiglie del consiglio cittadino, dopo che le Guerre d’Italia<br />
avevano riaperto la possibilità di un “ritorno al feudo” anche in territorio bresciano.<br />
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