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“LO MEGLIO SARIA NON HAVER PARCIALITÀ”<br />
stà fato ditto estimo sono ruinati molti terri, et sono venuti in grandissima<br />
povertade, sì che per debito de iustitia saria tempo de far ditto<br />
estimo, et maxime per li spese grossissimi che corre ali tempi presenti<br />
[…] et molte altre agravezi che se dano sopra de questo tale iniquo et<br />
iniusto estimo, […] se prega tutti quelli che sono stà renitenti ad non<br />
lasar far ditto estimo de che conditione, stato et grado, [...] così magnati<br />
como personi infimi, et così citadini como contadini, et così forestieri<br />
como terreri, che se volia degnare de far far ditto ditto estimo [...]».<br />
Continua poi il cartello sancendo una sorta di ultimatum alla realizzazione<br />
dell’estimo da parte delle autorità competenti, e cioè provveditori<br />
veneziani e Consiglio cittadino, scaduto il quale gli anonimi autori «se<br />
intenda essere acitati in la valle de Iosafat et in quella deno comparer fra<br />
mesi sey, cioè la ultima hora giuridica deli sey mesi adi 15 setember<br />
1526 […]». Che il bisogno di un nuovo estimo fosse sentito dalla cittadinanza<br />
è rilevabile in effetti anche dal commento successivo del cronista,<br />
che rileva come «tutti lo vardavano [il cartello] et lezevano ma non<br />
era homo che lo movesse et stete atachato più de uno mese a ditte colone»:<br />
gli anni successivi al sacco sono difficili per Brescia e per il suo<br />
territorio, e la normalizzazione dello stato di guerra permanente sembra<br />
essere ancora lontana, tanto che proprio tra 1526 e ’27 si registrano<br />
passaggi di mercenari tedeschi sul suolo bresciano. È ovvio che una<br />
parte della cittadinanza si schieri a favore di una revisione dell’estimo,<br />
per abbassare le aliquote di imposta in accordo con l’impoverimento o<br />
l’impossibilità di far fruttare a dovere le terre agricole. Qui lo scollamento<br />
più evidente appare quello già in parte consumatosi nel corso dei<br />
secoli precedenti tra città e contado: il cartello invita tutti ad essere «boni<br />
patri a questi poverissimi terri che anno portato et portano tali agravezi<br />
intollerabili et indebitamente», cioè a comprendere che l’eccessivo<br />
favoritismo tributario nei confronti della città e a spese del contado deve<br />
essere ridimensionato, in favore di una più equilibrata redistribuzione<br />
dei carichi fiscali. Uno scollamento che però ne nasconde un altro,<br />
espresso dal cartello in maniera embrionale, ma evidente come dato<br />
reale in città almeno dagli anni della serrata oligarchica: ad aver l’occasione<br />
di pagare in città anche le aliquote dei beni posseduti nel contado<br />
sono sì tutti i cittadini, ma in misura prevalente i cives nel pieno senso<br />
della parola, cioè gli aventi diritto, gli appartenenti al Consiglio. Essi,<br />
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