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M ARIA T ERESA R OSA B AREZZANI<br />

elevata a erede della pastorella provenzale, l’avrebbe sperimentata nel<br />

contesto lirico di fruizione di tali componimenti, ovvero per intrattenimento<br />

in eventi occasionali connessi per lo più alla vita di corte, e solo<br />

dopo, nell’incessante opera di revisione, riscrittura, rielaborazione dei<br />

Vulgaria, l’avrebbe adottata piegandola ad una nuova sperimentazione:<br />

proprio al genere poetico-musicale che l’uso corrente connotava in senso<br />

erotico, leggero e galante 27 . La musica potenzia e arricchisce il testo,<br />

scrive la Panti, nel senso della subtilitas et pulchritudo di cui parla Antonio<br />

da Tempo, sostiene «il gioco sensuale, i parallelismi gettati fra le<br />

strofe»; ma nella versione ‘laurana’ si verifica il dissidio fra musica e<br />

parola poiché il testo «è innalzato dal suo raffinatissimo gioco di sovrapposizione<br />

di significati indotti dal contesto narrativo, sui quali la<br />

musica non può ovviamente intervenire e che il lettore scopre nel suo<br />

peregrinare tra i fragmenta».<br />

Il dissidio a cui si allude con queste parole sembra qualcosa di diverso<br />

dal «divorzio» fra poesia e musica di cui parla Aurelio Roncaglia 28 , che<br />

– se mai – ne stabilisce i presupposti: nello studio dei rapporti testomusica<br />

esistono posizioni diverse se considerate dai letterati e dai musicologi<br />

che guardano il problema da prospettive diverse. Da una posizione<br />

iniziale in cui il trovatore componeva insieme versi e musiche e –<br />

occasionalmente – ne era anche l’esecutore, si passava all’affidamento<br />

delle composizioni a professionisti, fatto che implicava una trasmissione<br />

scritta. Anche nell’ambito trobadorico invenzione musicale e invenzione<br />

letteraria potevano essere atti non indissolubili: da una parte le<br />

melodie avevano una trasponibilità che trascendeva il singolo testo,<br />

dall’altra la disgiunzione tra fatto letterario e fatto musicale era agevolata<br />

dalla coscienza tecnica del poeta che svolgeva la propria attività<br />

svincolato dall’eventuale supporto che il musico professionista poteva,<br />

in un secondo tempo, offrirgli. Avveniva così che il rapporto fra poesia<br />

e musica si stabiliva sulla base di competenze diverse. Fatto di cui tene-<br />

27 C. PANTI, Il madrigale «Non al suo amante», p. 50, con riferimento a SANTAGATA, Pellegrine,<br />

forosette e pastorelle: per un madrigale di Petrarca (RVF 54), in Le varie fila. Studi di letteratura<br />

italiana in onore di Emilio Bigi, a cura di F. Danelon, H. Grosser e C. Zampese,<br />

Milano 1997, p. 57.<br />

28 A. RONCAGLIA, Sul «divorzio tra musica e poesia» nel Duecento italiano, in L’Ars Nova Italiana<br />

del Trecento, IV (1978), pp. 365-397.

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