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196<br />

G IULIO M ERICI<br />

cazione tra l’aristocrazia di natura feudale (Avogadro, Gambara e Martinengo,<br />

la cui presenza in Consiglio fu minima e numericamente ininfluente)<br />

e il patriziato cittadino. Non è dato di sapere se ciò determinò<br />

una solidarietà di tipo “cetuale”, d’altronde non ce n’è alcuna traccia,<br />

ma è lecito pensare che gli interessi della nobiltà feudale non fossero più<br />

certamente garantiti nell’istituzione bresciana.<br />

Carlo Pasero, basandosi sulle Provisioni, sostiene che «per l’insolenza delle<br />

famiglie della nobiltà feudale, per la sprezzante ostentazione di piena autonomia<br />

da qualsiasi ingerenza comunale ai luoghi sottoposti alla loro<br />

giurisdizione scoppiavano violenti contrasti con le autorità bresciane, le<br />

quali sapevano tuttavia avviluppare gli arroganti avversari, contenendone<br />

la tracotanza entro le pastoie di lunghissime cause davanti ai magistrati<br />

di Venezia che già in quei tempi tendeva a favorire il Comune nella<br />

sua lotta contro i superstiti particolarismi giurisdizionali. Abbiamo già ricordato<br />

i contrasti con gli Avogadro per Lumezzane, con i Martinengo per<br />

gli altri luoghi più numerosi e spesso minacciosi furono quelli con i Gambara,<br />

con Maffeo per causa di alloggiamenti militari; con Pietro e Niccolò<br />

per la giurisdizione del paese di Gambara» 178 . Nonostante la prosa del Pasero<br />

sia tutt’altro che scientifica e la sua posizione sia viziata da un’anacronistica<br />

visione della lotta alle prerogative giurisdizionali della nobiltà<br />

come motore della modernità, questo passo ci è utile per capire l’esistenza<br />

di una effettiva frattura tra gli interessi del Comune di Brescia e quelli delle<br />

famiglie feudali, minacciate nei loro privilegi. Il mantenimento delle prerogative<br />

giurisdizionali, della separazione delle terre feudali dall’amministrazione<br />

del Comune cittadino può essere alla base di una maggiore intesa<br />

tra Avogadro, Gambara e Martinengo, che in quel momento potrebbero<br />

aver deciso di accantonare le rivalità famigliari per realizzare una comune<br />

politica di contrasto alle ingerenze bresciane nelle loro terre.<br />

In tutto questo il matrimonio tra Matteo Avogadro e la figlia di Maffeo<br />

Gambara può essere una testimonianza di una “pace” tra i due casati<br />

dettata dalla comune, sebben limitata, militanza filomarchesca in ambito<br />

sovralocale e in ambito cittadino da una condivisa necessità di difendere<br />

la propria natura feudale, non avendo più un forte peso nel<br />

Consiglio Generale.<br />

178 PASERO, Storia di Brescia, p. 206.

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