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W ILDT, MARTINI E D AZZI<br />
scolo degli anni venti. Per sua indole, infatti, Wildt si rivelò sempre<br />
pronto ad acquisire e a rielaborare i più diversi riferimenti, senza per<br />
questo venir meno alla singolarità di uno stile tanto originale da sfuggire<br />
a facili catalogazioni. Sintetizzando le esperienze artistiche più confacenti<br />
alla sua indole, dalla scultura tardo-medievale al pathos berniniano,<br />
fino a un buon numero di prove contemporanee, riuscì a proporre<br />
un linguaggio di straordinaria novità. Ed è proprio questo linguaggio,<br />
spesso declinato sul terreno di nuove iconografie, che porta a rimpiangere<br />
fortemente il mancato compimento dell’incarico bresciano.<br />
L’Annunciazione di Wildt, con la sua scioltezza comunicativa, avrebbe<br />
alleggerito la cadenza retorica esibita dalla maggior parte delle sculture<br />
di Piazza della Vittoria e, in particolare, dall’opera più rappresentativa<br />
(e discussa) dell’intero complesso: il colosso di Arturo Dazzi intitolato<br />
all’«Era Fascista», ma più noto con l’appellativo canzonatorio di «Bigio»<br />
(fig. 4). Senza entrare nel merito della discussione sul suo recupero<br />
e rimandando ogni approfondimento di carattere storico al recente studio<br />
di Franco Robecchi 8 , mi sembra utile proporre qualche riflessione<br />
sulla riscoperta critica di Dazzi (Carrara 1881 - Pisa 1966).<br />
Come per la maggior parte degli artisti di punta del periodo fascista,<br />
anche per lui la caduta del regime segnò l’inizio del disinteresse da parte<br />
dei critici, che nei confronti delle opere ufficiali del Ventennio nutrirono<br />
immediatamente un’indistinta ostilità. La stretta adesione ai canoni<br />
dell’estetica fascista, ben visibile nel severo gigantismo e nella vocazione<br />
a un lessico classicheggiante, aveva fatto di Dazzi uno dei più tenaci<br />
divulgatori del linguaggio caro al regime.<br />
Ma il maestro toscano non fu soltanto questo. Nel corso della sua lunga<br />
carriera, alle opere di destinazione pubblica votate alla propaganda<br />
fascista, seppe alternare lavori di maggiore disinvoltura. Il gruppo di<br />
sculture e dipinti donato dalla moglie di Dazzi alla Galleria d’Arte Moderna<br />
di Forte dei Marmi testimonia ampiamente la versatilità tematica<br />
dell’artista e consente di riscoprirne anche l’apprezzabile attività pittorica<br />
9 . I suoi animali, scolpiti o dipinti, mostrano un approccio esclusivo<br />
8 F. ROBECCHI, Brescia e il colosso di Arturo Dazzi. Nascita, caduta e riabilitazione della statua<br />
politicamente scorretta di Piazza della Vittoria, Brescia 2008.<br />
9 Cfr. Arturo Dazzi. Dipinti e sculture dalla donazione Dazzi di Forte dei Marmi, a cura di<br />
A.V. Laghi, Montecatini Terme 2002.<br />
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