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M ATTEO A VOGADRO<br />

politica estera» 125 . Le realtà bresciana e milanese sono accomunabili<br />

per la non istituzionalizzazione delle fazioni nelle gestione del potere<br />

(contrariamente a quanto avviene, ad esempio, a Parma o Reggio, dove<br />

le squadre rappresentarono il fondamento della divisione dei seggi nel<br />

consiglio cittadino 126 ), ma, per prima cosa, non istituzionalizzazione<br />

non è sinonimo di assenza o di scarsa influenza nella scena politica, secondariamente<br />

nel contesto bresciano, quindi una realtà diversa da<br />

quella analizzata da Caroldo e da Somaini, i riferimenti politici ‘alti’<br />

per le fazioni restano costanti tra la fine del XIV e il XVI sec.: Venezia<br />

o, per meglio dire il soggetto che meglio potesse assicurare le autonomie<br />

della città dal centro e delle terre separate, per i guelfi, il ducato di<br />

Milano (fosse esso visconteo o francese) per i ghibellini.<br />

Nel 1503, solo quattro anni dopo il matrimonio tra Matteo e la figlia di<br />

Maffeo Gambara e stranamente non in un momento di scontro di carattere<br />

sovra locale, ci è noto un deciso riacutizzarsi delle tensioni fazionarie<br />

nella città di Brescia. Il casus belli è offerto da Gianfrancesco<br />

Gambara, fratello di Maffeo, che, non volendo consegnare le proprie armi<br />

al podestà Andrea Loredan, lo sfida a duello. Il motivo per cui il podestà<br />

pretese dal Gambara la consegna delle armi ci è oscuro, e il Sanudo<br />

che riporta la notizia non aiuta a far luce, ma si può ipotizzare che<br />

la città fosse già teatro di tensioni familiari e fazionarie e che il disarmo<br />

di un Gambara fosse dettato dalla volontà di evitare fatti di sangue che<br />

potessero far precipitare la situazione. Lo scontro e il duello sono prudentemente<br />

evitati da Venezia che si astiene dal prendere provvedimenti<br />

forti in favore del proprio podestà, ma è sufficiente, a quanto pare, a far<br />

riemergere il conflitto tra la famiglia Gambara e le famiglie guelfe, con<br />

in testa in questa occasione alcuni esponenti dei Martinengo. La situazione<br />

dovette sembrare così tesa che Gianfrancesco Gambara ritenne<br />

più prudente rifugiarsi a Venezia, e al suo ritorno (20 gennaio 1504),<br />

riferisce sempre il Sanudo, «tutta la città si feno in Gelfi e Ghibellini» 127 .<br />

125 L. ARCANGELI, Gentiluomini di Lombardia. Ricerche sulla’aristocrazia padana nel Rinascimento,<br />

Milano 2003, p. 367.<br />

126 Mi sembra, a tal proposito, efficace la definizione di Marco Gentile che vede nel comune<br />

di Parma un “parlamento delle squadre”, M. GENTILE, Terra e poteri. Parma e il parmense<br />

nel ducato visconteo all’inizio del Quattrocento, Milano 2001.<br />

127<br />

SANUDO, Diarii, VII, c. 125.<br />

177

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