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sta pala cinquecentesca dell’altar maggiore,<br />
firmata e datata 1584 dal veronese<br />
Paolo Farinati, che conferma la<br />
“vocazione” verso Verona della Valtenesi,<br />
che, come è noto, dipende dalla diocesi<br />
di quella città. E, nella lunetta sovrastante<br />
lo stesso altare, all’estremità<br />
temporale (1909 ca.), l’incantevole raffigurazione,<br />
di forte valore simbolico,<br />
di una giovane donna in preghiera che<br />
si deve al salodiano Angelo Landi.<br />
Non inferiori sono molte delle tele esposte<br />
sugli altari laterali: partendo dalle<br />
più recenti e risalendo nel tempo si incontrano:<br />
la pala settecentesca della<br />
cappella di San Giuseppe, giustamente<br />
attribuita a Domenico Voltolini, caratterizzata<br />
dal timbro cromatico freddo e<br />
dalle stesure trasparenti; sul declinare<br />
del Seicento, la magnifica e intensa pala<br />
all’altare della Trinità, firmata da Francesco<br />
Paglia; La Vergine che intercede<br />
presso la Trinità per le anime purganti,<br />
pagata nel 1637 dalla Confraternita del<br />
Sacramento a Bernardino Gandino, figlio<br />
di Antonio, il quale a sua volta aveva<br />
firmato la Madonna dei sette dolori e<br />
santi all’altare di San Lorenzo, forse in<br />
contiguità alla decorazione lasciata dallo<br />
stesso artista in Santa Maria del Corlo<br />
a Lonato, del 1628: infine, il Compianto<br />
di Cristo, che Bocchio data, per<br />
ragioni stilistiche, al 1616-20, firmato<br />
da Giovanni Andrea Bertanza, il pittore<br />
palmesco originario di Padenghe.<br />
Nel Cinquecento viene segnalato il dipinto<br />
che arreda l’altare di san Cristoforo,<br />
richiesto nel 1542, come risulta da<br />
un’iscrizione ottocentesca che riprende<br />
probabilmente quella originale, da Martino<br />
Boffini a Zenone Veronese, pittore<br />
lungamente attivo sulla costa bresciana<br />
del Benaco, prevalentemente a Salò. Se<br />
l’attribuzione a questo maestro trova<br />
S EGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE<br />
conferma nella lettura stilistica, non mi<br />
sembra invece condivisibile il riferimento<br />
ad un maestro veronese della prima<br />
metà del XVI secolo per la grande tavola<br />
raffigurante San Cristoforo fra i santi<br />
Sebastiano e Rocco, ai quali si rivolgono<br />
in preghiera quattro oranti nella fascia<br />
inferiore, che è oggi collocata sul lato<br />
destro del presbiterio ma proviene,<br />
sembra, dal monastero bresciano di<br />
Sant’Eufemia. Mi sento di assegnarla<br />
con piena convinzione a Paolo da Caylina<br />
il giovane, con le cui opere presenta,<br />
nell’esibizione muscolare e nelle caratteristiche<br />
fisionomie di retaggio foppesco,<br />
innegabili punti di tangenza.<br />
Vengono presi in esame anche i dipinti<br />
della sacrestia, come i murali a monocromo<br />
di Giuseppe Fali, che si era stabilito<br />
a Padenghe coi genitori nel 1742.<br />
Gardesano di nascita, questi si era formato<br />
a Bologna e rientrato in patria si<br />
era messo a seguire, o meglio, ad imitare,<br />
Francesco Monti (che da quella<br />
città si era trasferito a Brescia nel<br />
1738), i cui modelli in effetti sono qui<br />
ripresi nell’allegoria della Fede, al centro<br />
della volta.<br />
Fra le tele ricoverate in quell’ambiente<br />
colpiscono in particolare due dipinti. Il<br />
primo è un’Immacolata, il cui autore<br />
non è stato ancora possibile individuare,<br />
ma per il quale Bocchio suggerisce<br />
un’interessante novità iconografica da<br />
estendere anche ad una tela di analogo<br />
soggetto nella parrocchiale di Moniga,<br />
opera del veronese, ma pure lui nutrito<br />
del latte bolognese, Felice Torelli. Il secondo<br />
è una Santa Lucia, in figura a tre<br />
quarti, per la quale lo studioso suggerisce<br />
cautamente un accostamento ad Ottavio<br />
Amigoni, riferimento che va accolto<br />
ed anzi ribadito con forza, giacché mi<br />
sembra, per la morbidezza dei contorni e<br />
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