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Nei borghi antichi la storia è vita - Lazionauta

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Rivivere il borgo, oggi<br />

di Vittorio Emiliani<br />

Sarà stato il 1970. Eravamo impegnati in una campagna di rilevamento<br />

dei centri storici, delle torri, dei castelli, delle chiese, delle abbazie,<br />

dei boschi, dei dialetti, degli strumenti musicali <strong>antichi</strong>, del folklore e<br />

altro ancora sull’Appennino bolognese. Una sera nel<strong>la</strong> piazza del paese<br />

di Enzo Biagi, discutevamo dei risultati di quel censimento a tappeto<br />

operato risalendo <strong>la</strong> valle del Reno. C’era molta gente. Ad un certo<br />

punto ad una ricercatrice scappò detto: “E poi queste case di sasso sono<br />

tanto carine…” Si alzò un anziano del paese, emigrato a Bologna e tornato<br />

<strong>la</strong>ssù per le vacanze, che ribatté: “Saranno carine per voi di città. A<br />

noi ricordano <strong>la</strong> fame, il freddo, le ma<strong>la</strong>ttie patite lì dentro. Preferiamo<br />

le case nuove dei geometri”. In piazza scese un certo imbarazzo. Che si<br />

accrebbe quando un altro <strong>borghi</strong>giano, stavolta stanziale, enunciò questa<br />

sua verità: “E’ come per le castagne: per voi cittadini sono buone. A<br />

noi fanno venire <strong>la</strong> nausea perché ci ricordano i tempi in cui mangiavamo<br />

solo castagne: pasta con <strong>la</strong> farina di castagne, pane di castagne e<br />

magari di ghiande, focacce e torte di castagne, il castagnaccio, un po’<br />

d’erba e quasi nient’altro”.<br />

Avevamo ragione noi e avevano ragione loro. Quel patrimonio di <strong>borghi</strong><br />

e di boschi, magari di castagneti, dell’Appennino andava sicuramente<br />

tute<strong>la</strong>to e non stravolto o manomesso. Ma bisognava farlo con attenzione,<br />

con sagacia, dotando di servizi igienici, di riscaldamento e di altro<br />

ancora quelle case di sasso altrimenti assai poco vivibili. Problemi che si<br />

sono posti lungo tutta <strong>la</strong> dorsale appenninica dove tanta <strong>storia</strong> <strong>è</strong> passata<br />

e dove, dagli anni ’50 in qua, lo spopo<strong>la</strong>mento, l’abbandono <strong>è</strong> stato<br />

biblico. Con tanti ex contadini, taglialegna, boscaioli, muratori, artigiani<br />

finiti a popo<strong>la</strong>re quartieri spesso “per murati vivi”, diceva sempre<br />

Antonio Cederna, delle periferie metropolitane, a cominciare da quelle<br />

romane.<br />

Oggi il vento sembra essere girato. Ciò che negli anni ’70 pensavano (e<br />

pativano) gli ultimi abitanti rimasti su quelle colline e montagne, non lo<br />

pensano più, o quasi più, quanti risiedono oggi in quegli stessi <strong>borghi</strong>.<br />

Lo abbiamo constatato nel realizzare questa prima indagine-campione<br />

su 30 suoi Comuni, promossa dal<strong>la</strong> Provincia di Roma. Ci siamo resi via<br />

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