Nel cerchio del Saggio

Capitolo VI.
Ricchezza e povertà 61
Per alcuni musulmani è meglio esser poveri; per altri, invece,
essere ricchi. Alcuni non sarebbero capaci di mettere in pratica le
regole interiori di vita (adab) che la Tradizione assegna alla povertà.
Essi si trascinerebbero nell’incuria, pieni di rancore per le
proprie condizioni, ed anche se si manifestasse in loro uno stato
d’espansione spirituale, non avrebbero poi la costanza di percorrere
la via della riconoscenza e della pazienza.
Ci sono poi altri, i quali non sono in grado d’adempiere gli
obblighi che la ricchezza impone e sono schiacciati dal peso della
loro anima passionale. Di fronte ad Allah, sia santificato il Suo
Nome, questa ricchezza diventa motivo di crescente vergogna.
La cosa fondamentale a cui il Musulmano deve prestare attenzione,
è essere soddisfatto del suo Signore sia nei momenti
difficili, sia nel benessere e nell’abbondanza, per conseguire la
beatitudine dell’unione con Lui.
«Non trascurare la compagnia di coloro che implorano il Signore e
cercano l’approvazione di Allah, mattino e sera. Non distogliere la tua
attenzione da loro per rivolgerla altrove (verso le genti di questo mondo),
per desiderio dei godimenti terreni. Non andare dietro a chi abbia
ricevuto in sorte un cuore negligente nel ricordarsi di Noi e sia caduto
per seguire quei piaceri, spingendosi anche oltre i limiti». (Corano, Sura
“Al-Kahf”, 28).
Racconta Selmân Fârisî (r.a.):
«Uyeyne b.Hısn, Hakra b.Habıs e altri loro amici, gente dal
61 “Zengin - Fakir”. Dalla rivista Altınoluk, Istanbul, febbraio 1999.
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