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Per un codice della cucina lombarda Introduzione

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La codificazione storica <strong>della</strong> <strong>cucina</strong> tradizionale<br />

Il pranzo di nozze di Renzo e Lucia, ovvero la gastronomia <strong>lombarda</strong><br />

attraverso guide e segnalazioni <strong>della</strong> prima metà del secolo<br />

a cura di Alberto Capatti<br />

(direttore <strong>della</strong> rivista Slow, Arcigola-Slowfood<br />

docente di Letteratura Francese, Università degli Studi di Pavia)<br />

Intorno alla metà dell’’800, quando si mormorava che le linee ferrate avrebbero presto<br />

affiancato le strade, tagliando in linea retta e parallela i campi, i lombardi, come i personaggi<br />

di Alessandro Manzoni, si concedevano con parsimonia l’uso del carro o il lusso <strong>della</strong> barca,<br />

spostandosi per lo più a piedi. La Lombardia dei Promessi Sposi formava <strong>un</strong> triangolo di<br />

piccola estensione, fra Lecco, Milano e Bergamo, i cui lati erano l<strong>un</strong>ghi da percorrere, miglio<br />

dopo miglio, parrocchia dopo parrocchia. <strong>Per</strong> le vie d’acqua, s’andava più spediti, seguendo<br />

tuttavia rilievi, imboccando canali, in <strong>un</strong> paesaggio per così dire comandato. La superficie a<br />

piano obliquo, dai monti ai laghi, dalle valli ai laghetti e alle piane fluviali, era la sola che tutti<br />

conoscessero, anche i contadini e i m<strong>un</strong>gitori, e la Lombardia ne costituiva l’espressione<br />

geografica. Più che <strong>un</strong> sentimento di identità territoriale, ogn<strong>un</strong>o aveva nei piedi delle radici, e<br />

non cercava oltre.<br />

Questa visione triangolare del territorio - il proprio paese, il capoluogo, <strong>un</strong> confine - è molto<br />

diffusa fra la gente, anche nell’Italia <strong>un</strong>ita. Se i nomi delle città, con quelli dei fiumi in ordine<br />

incerto, a seconda se destri o sinistri, occidentali o orientali, entrano nel bagaglio puerile, i<br />

costumi e le abitudini di <strong>un</strong> mantovano restano <strong>un</strong> mistero per i coltivatori <strong>della</strong> vigna<br />

valtellinese. A questa incomprensione, per non dire insensibilità, scuola, stampa e trasporti<br />

cercheranno di rimediare, con risultati astrattamente mnemonici, improbabili, se misurati alla<br />

luce di cognizioni come quelle che concernono la lingua, la casa, l’alimentazione. Solo i<br />

notabili delle grandi città del nord, paventano questo stato di confusione, e cercano di<br />

affrontare il problema dall’alto, con la carta murale d’Italia, da commentare e riempire. Il<br />

Touring Club ciclistico Italiano fondato a Milano nel 1894, privo nel 1900 dell’epiteto sportivo,<br />

è <strong>un</strong>o dei poli di questa riconquista. Essa avverrà per gradi con carte e riviste, Le vie d’Italia,<br />

L’albergo in Italia, dagli obbiettivi patriottici, utilitari, edonistici.<br />

Nella conoscenza dei costumi alimentari, la bicicletta non poteva dare risultati globali,<br />

tuttalpiù permetteva singole p<strong>un</strong>tatine, qualche escursione. Oltre ad <strong>un</strong> catalogo delle<br />

specialità, manca infatti, all’inizio del ‘900, il quadro nazionale di riferimento. Della piana<br />

<strong>lombarda</strong>, Pellegrino Artusi, fiorentino d’adozione, riportava i seguenti piatti: il risotto, la<br />

trippa col sugo, la polenta pasticciata, l’osso buco, la costoletta di vitello di latte. Lombardia,<br />

nella prima edizione <strong>della</strong> Scienza in <strong>cucina</strong> (1891), era Milano, senza il panettone<br />

tradizionale, migliorato e perfezionato da Marietta Sabadini, la sua cuoca. Allontanandosi dalla<br />

Toscana e dalla Romagna, visitate dal gastronomo e commerciante di sete in l<strong>un</strong>go e in largo,<br />

varcato <strong>un</strong>o dei ponti sul Po, la capitale viene preferita al contado e alle provincie orientali.<br />

Solo tardivamente vengono aggi<strong>un</strong>te le “frittelle di polenta alla lodigiana”. Merito di questa<br />

descrizione era di rendere comprensibile la geografia gastronomica d’Italia, semplificandola al<br />

massimo ; il limite invece lo si percepiva nei criteri stessi di approvvigionamento: non <strong>un</strong>a<br />

sola trota riceve nella Scienza in <strong>cucina</strong> l’onore <strong>della</strong> ricetta.<br />

Uno dei paradossi di codesto approccio toscaneggiante alle cucine, è di assomigliare come <strong>un</strong>a<br />

goccia d’acqua, a quello vigente in Francia, dove Parigi ha lo stesso potere di risucchiare<br />

risorse e specialità in solido, di dettare legge su ogni singolo piatto, cedendo alle provincie i<br />

soli meriti enologici. Ma è proprio negli anni del primo dopoguerra, che nelle associazioni del<br />

turismo motorizzato, nei cenacoli <strong>della</strong> buona tavola e soprattutto nei clubs <strong>della</strong> destra dove<br />

è vivo l’amore per la campagna e la provincia, per la Francia profonda, cattolica, conservatrice<br />

e contadina, comincia a serpeggiare la rivolta contro la capitale, contro i ristoranti più famosi<br />

del mondo. Dal 1920 al 1940, <strong>un</strong>a parte <strong>della</strong> borghesia parigina si riconverte, e adotta in<br />

odio all’alta <strong>cucina</strong> cosmopolita, i piatti delle proprie campagne. Riscopre l’aglio provenzale e il<br />

<strong>Per</strong> <strong>un</strong> <strong>codice</strong> <strong>della</strong> <strong>cucina</strong> <strong>lombarda</strong> <strong>Introduzione</strong>

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