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Per un codice della cucina lombarda Introduzione

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potrà svolgere la propria indagine in loco. Quanto al costume nutritivo, esso non si presta a<br />

bugie: “Ai giorni nostri” si dice a proposito di Pavia “non v’ha nulla che ricordi <strong>un</strong>a tradizione<br />

gastronomica, ma solo alc<strong>un</strong>e consuetudini nemmeno estese a tutta la provincia”.<br />

Il compromesso fra industria agroalimentare e valorizzazione di modeste risorse locali,<br />

imposto dalla visione autarchica del regime, dà i suoi frutti rendendo moderna, l’idea di<br />

tradizione. E’ sorprendente come essa abbia attecchito riproducendosi senza riforme. Un<br />

confronto fra La guida Gastronomica d’Italia (1931) e La Guida all’Italia gastronomica (1984),<br />

conferma, per i prodotti e le specialità, l’esistenza di <strong>un</strong> filo continuo. Nella provincia di<br />

Brescia, malgrado la scomparsa <strong>della</strong> pesca gardesana e <strong>della</strong> caccia nei ròccoli, restano<br />

alose, anguille e soprattutto stormi di uccelletti da polenta. Fra i centri vicini, Bagolino,<br />

Desenzano, Edolo, Gavardo, Iseo, Rovato, Salò, Sirmione, figurano cinquant’anni dopo; solo<br />

Ponte di Legno viene aggi<strong>un</strong>to. Numerose le rettifiche, ispirate dalla rinascita di <strong>un</strong>a<br />

ristorazione “tipica”, intatto il quadro.<br />

Se la geografia gastronomica mostra <strong>un</strong>a forte continuità, l’ideologia del gruppo di rotariani<br />

milanesi è sfumata nei decenni. Nel 1929, la speranza di molti era la nascita di <strong>un</strong>a <strong>cucina</strong><br />

italiana “come la francese, .. al di sopra delle singole cucine regionali”, nella quale fosse<br />

sensibile, se non dominante, l’apporto lombardo. Cinquant’anni dopo, Milano figura come la<br />

prima città a ospitare “ristoratori d’ogni regione d’Italia e di molti Paesi stranieri”, <strong>un</strong>a città<br />

dalla memoria sempre più corta, che ha perso le proprie abitudini. Uno degli effetti maggiori<br />

<strong>della</strong> catalogazione praticata oltre che dalle guide, dai ricettari e dalle rubriche su carta<br />

stampata, è la nascita di <strong>un</strong> mercato nazionale del prodotto tipico, con la conseguenza di<br />

separare le “specialità” dal territorio e dai suoi custodi. Le considerazioni del 1931 sul<br />

caciocavallo “milanese”, promettevano, in <strong>un</strong> regime di consumi liberi e vari, a panettoni e<br />

pizze <strong>un</strong>a tipicità “nazionale”.<br />

Tradotta in prosa da <strong>un</strong> vero letterato, La guida gastronomica, dava, nel 1935 Il ghiottone<br />

errante. Paolo Monelli vi approfondiva, in <strong>un</strong> suo giro d’Italia, prodotti “genuini” e simboli<br />

<strong>della</strong> tradizione in chiave ristorativa. Con garbo e bella lingua, abbreviava la conquista delle<br />

cucine lombarde, cominciando la sua visita, nel mese di giugno, da <strong>un</strong>a trattoria sul Naviglio.<br />

A completamento di <strong>un</strong> percorso triangolare, dopo <strong>un</strong>a p<strong>un</strong>tata, a mezzogiorno, nell’osteria<br />

<strong>della</strong> Peppa in Valsassina, approdava ad <strong>un</strong> sito famoso del ramo di Lecco: “la sera all’osteria<br />

a Pescarenico mangiavamo di grande appetito la scura e forte bresaola per prepararci la bocca<br />

al vino di Valtellina”<br />

La tipicità, nella testa di <strong>un</strong> turista non comporta mai confini troppo rigidi, e svaria dalla valle<br />

ai laghi senza scandalo. Ora si lega al prodotto, ora al consumo, ora all’occasione e al menù:<br />

a fette sottili, <strong>un</strong>a bresaola è sempre Valtellina, nell’alto o basso lago. La tappa al ristorante,<br />

da Pellegrino Artusi a Monelli sino ai nostri cronisti, permette quindi di percorrere le distanze<br />

a volo di falco, e di beccare il frutto lontano dalla pianta. Nel quadro regionalista, collaudato<br />

nel corso degli anni ‘30, ogni cibo, fatti salvi certi criteri formali e sostanziali di elezione, può<br />

diventare tipico, se etichettato tale. Quindi viaggia, si riproduce, viene consumato.<br />

Da <strong>un</strong> ritorno in auge delle osterie all’altro, da <strong>un</strong>a insegna alla sua erede e omonima, i gusti<br />

si perpetuano oltre che nella bocca e nella memoria, sulla carta. La <strong>cucina</strong> è <strong>un</strong> luogo per<br />

chierici, al pari <strong>della</strong> biblioteca, di cui alc<strong>un</strong>i seri, altri faceti. Il capitolo, consacrato dal<br />

Ghiottone errante alla Lombardia, a coronamento di <strong>un</strong>a ricerca di certe radici culturali, porta<br />

<strong>un</strong> titolo ironico e scolastico: “Il pranzo di nozze di Renzo e Lucia”. Non è <strong>un</strong>o scherzo: in ogni<br />

specialità consumiamo l’idea di specialità, e la cultura che l’ha confezionata. Si può divorare il<br />

Manzoni in molti modi, dal primo al dessert, restando a tavola. Quale sarà allora la torta di<br />

Renzo e Lucia ? Non bisogna fidarsi di <strong>un</strong>a malapenna, di <strong>un</strong> Monelli, perchè da burlone<br />

modenese, tira fuori <strong>un</strong> panettone e, ammiccando, ne disegna il profilo, ne ritrae la capoccia<br />

familiare. “Il dolce dei lombardi è <strong>un</strong> pane badiale, <strong>un</strong> malloppo br<strong>un</strong>o e madornale, il pane<br />

inventato da Toni fornaio (pan de Toni, panettone) ; che se non fosse conosciuto ormai come<br />

la bettonica parrebbe ai riguardanti tutt’altra cosa che <strong>un</strong> dolce dalla polpa soffice e gonfia<br />

d’aria fragrante: piuttosto <strong>un</strong> berretto da cuoco gettato in bronzo, <strong>un</strong> pallone da giocarci il<br />

calcio, <strong>un</strong> testone da tirarci al bersaglio nelle fiere”.<br />

<strong>Per</strong> <strong>un</strong> <strong>codice</strong> <strong>della</strong> <strong>cucina</strong> <strong>lombarda</strong> <strong>Introduzione</strong>

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