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EUROPA NEU DENKEN - Schwerpunkt Wissenschaft und Kunst ...

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Se il progetto cosmopolita era scomparso, dovevano essere cancellati anche i<br />

suoi lasciti, ovvero la pluralità linguistica e culturale. Con l’italianizzazione, venne<br />

la proposta di un nuovo possibile destino, quello di «porta orientale», per<br />

l’imperialismo fascista, verso i Balcani. Ma se «Trieste per gli italiani era diventata<br />

“la porta orientale”, per gli sloveni era “la finestra sul mondo” okno v<br />

svet» 9 . La città era palesemente multiculturale e dunque, come accade spesso<br />

in questi casi, destinata a subire violenza allorché un regime totalitario, come<br />

fu quello fascista, che proprio in questa città nel 1938 annunciò le leggi razziali,<br />

impose di annientare le diversità. Come è noto, la violenza innesca meccanismi<br />

espiatori, attivati allo scopo dichiarato di purificare, eliminando qualsiasi<br />

elemento di contaminazione, come spiega bene René Girard nel suo La violenza<br />

e il sacro. Trieste fu dunque l’unica città italiana dove si organizzò un campo<br />

di concentramento per ebrei, slavi, zingari, ecc., allo scopo di reprimere l’altro.<br />

Con la sconfitta del fascismo, e la vittoria, tra gli altri, di Tito, dopo la seconda<br />

guerra mondiale Trieste visse il dramma dell’esodo degli italiani d’Istria, e ritrovò<br />

un ruolo quale città nuovamente di frontiera, quella della cortina di ferro, che<br />

divideva il mondo nelle due sfere d’influenza, americano e sovietico, del capitalismo<br />

e del socialismo reale. In realtà il confine era poroso, e l’antislavismo,<br />

che negava il cosmopolitismo, non vietava tuttavia ai commercianti triestini di<br />

arricchire con società di import-export, con reti commerciali al dettaglio alimentate<br />

anche da un poderoso flusso umano che ogni giorno attraversava la “cortina”<br />

per recarsi negli empori del borgo teresiano. La delusione per la politica<br />

nazionale 10 alimentava il rimpianto per il periodo in cui la città era parte<br />

dell’impero: lo hanno in qualche modo “mitizzato” Lino Carpinteri & Mariano<br />

Faraguna con le Maldobrìe, in chiave umoristica, Magris con Il mito asburgico,<br />

in uno stile “sublime” e, in una prospettiva multipla, Ferruccio Fölkel, con Gial-<br />

9 Marta Ivašič, Lessico familiare: l’uso delle parole quando si parla di storia, in AA.VV. Frontiere invisibili?<br />

Storie di confine e storie di convivenza, a cura di Anna Maria Vinci, Trieste, EUT, 2010, p. 31.<br />

Anche «la “landa carsica”, come viene comunemente denominata, cioè un luogo piano e deserto, è<br />

in sloveno kraška gmajna, la terra della comunità, dei pascoli, dei boschi e degli stagni comuni, dal<br />

tedesco gemeinde», ibidem.<br />

10 Intanto, alla fine degli anni 70, intellettuali e professionisti triestini hanno dato vita al movimento del<br />

Melone, che ha intercettato un generalizzato sentimento anti - partitico prima che antipolitico. Evento<br />

scatenante non fu tangentopoli ma il trattato di Osimo con cui si chiudeva la partita riguardo ai destini<br />

dell’Istria ed egli istriani.<br />

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