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EUROPA NEU DENKEN - Schwerpunkt Wissenschaft und Kunst ...

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Prima della “micro e macro globalizzazione” la cucina triestina era tradizionalmente<br />

legata alle stagioni e al territorio. Così dal Golfo di Trieste e dalle coste<br />

istriane e dalmate arrivavano quotidianamente pesci, molluschi e crostacei freschissimi.<br />

Dal povero Carso e dalla generosa Istria, ma anche dalla Valle del<br />

Vipacco e dal vicino Friuli arrivavano patate, granaglie, animali da cortile e animali<br />

da allevamento e pastorizia e naturalmente anche i loro derivati quali il<br />

latte (grazie alle donne del latte chiamate mlekarice) i formaggi (vaccini, pecorini,<br />

caprini); ma anche i prodotti dell’orto che venivano mangiati freschi, ma<br />

anche trasformati o conservati (essiccati, sotto sale, sott’olio o sott’aceto). Ricordo<br />

in particolare un prodotto conservato che è la base di uno dei piatti simbolo<br />

della cucina triestina, la jota, e cioè i capuzi garbi/crauti acidi. Nella Trieste,<br />

città di mare, e dei commerci arrivavano prodotti che venivano da località anche<br />

molto lontane, quali le spezie e il cacao, il caffè, il baccalà e i bisati/anguille.<br />

I prodotti della terra e del mare, anche nelle loro sapienti trasformazioni, sono<br />

sempre stati in stretta relazione con il territorio e raccontano storie del loro<br />

rapporto profondo con il territorio. Una cucina quella triestina che potremmo<br />

definire quindi territoriale ma in senso regionale o meglio transregionale contrassegnata<br />

nel profondo, dalla valorizzazione e dall’esaltazione di quelle che<br />

sono le peculiarità di questo mondo alto-adriatico, e cioè la bellezza delle diversità<br />

e della biodiversità. Che significa ancora oggi, dove naturalmente é possibile<br />

(e qui lo è grazie a vino, olio, formaggi, miele tutti prodotti davvero straordinari)<br />

conservare gelosamente la qualità e la tipicità delle produzioni locali,<br />

che portano spesso anche piatti di alta qualità.<br />

Riscoprire il valore del territorio, implica il rilancio e la valorizzazione della cucina<br />

locale e regionale di qualità. Una cucina che “parla” dell’identità , della storia<br />

e della cultura di un territorio, è anche dell’esaltazione della specificità e<br />

della bontà dei prodotti dello stesso territorio e quindi anche dei grandi saperi<br />

della tradizione. Una cucina che diventa una testimonianza concreta e viva, ma<br />

soprattutto preziosa e unica, dei grandi saperi e dell’ingegno di ieri: Dell’ingegno<br />

e dei saperi dei coghi de bordo e delle nostre mamme (purtroppo pochi papà!!)<br />

e delle … nostre nonne. Una cucina che è anche e soprattutto identità, perchè<br />

il cibo sottolinea le differenze tra gruppi, culture, classi sociali. Ma serve anche<br />

a rafforzare l’identità di gruppo, a separare e distinguere il “noi” dagli “altri”. Il<br />

cibo è identità economica: offrire cibi preziosi significa far notare la propria<br />

ricchezza, identità sociale: soprattutto in passato, la quantità e la qualità del<br />

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