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EUROPA NEU DENKEN - Schwerpunkt Wissenschaft und Kunst ...

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Supek si conclude con l‘antidoto da lui proposto a questa situazione: “Essere<br />

buoni”. Personalmente a questa bontà d‘animo aggiungerei il coraggio, il piglio<br />

di difendere la libertà dello spirito, di tutelarla ed esserle solidale; non può esserci<br />

vera bontà d‘animo senza coraggio individuale.<br />

Cerchiamo tuttavia di ridimensionare la cupezza di queste previsioni e, come già<br />

in passato hanno fatto molte persone sagge, constatiamo che non ci sono valori<br />

umanistici più grandi della tutela della vita umana. In questo senso la perdita<br />

del passato implica, lo credo fortemente, la perdita del futuro. Consegnare Mozart<br />

all‘oblio a favore della cultura audio-tecnologica di massa, o fare lo stesso<br />

con Michelangelo a favore della distribuzione mediatica di un‘iper produzione<br />

visiva, porta sicuramente alla dissoluzione totale della fiducia nell‘esistenza<br />

umana. La minaccia che il sapere diventerà il “capitale” più ambito e non privatizzabile<br />

ci porta a concludere che lo sviluppo delle multinazionali non andrà ad<br />

intaccare del tutto i singoli stati o caratteristiche nazionali o regionali, né riuscirà<br />

a mettere in pericolo l‘importanza del singolo e del suo potenziale spirituale.<br />

Secondo Supek le persone piombano nella rassegnazione e nell‘apatia “quando<br />

della loro vita decidono istituzioni distanti quanto il cielo” (Supek, XXXIV).<br />

Ben detto: un‘universalità effettiva non può affermarsi senza un‘adeguata importanza<br />

dell‘istruzione, della scienza e della cultura, in altre parole, dei valori<br />

umanistici. Cultura che, ritengo, dovrebbe avere un‘identità forte e fondare le<br />

sue radici nel primario, nell‘essenziale e tangibile (e non nel globale o “celeste”).<br />

Se ci atteniamo alle nostre tradizioni culturali ed osserviamo i nostri traguardi<br />

individuali o regionali, rafforziamo i valori umanistici e costruiamo il rapporto<br />

con l‘Altro e quindi con il Diverso rispetto alla nostra cultura, lingua, letteratura,<br />

visione del mondo e così via. Credo che insistere a richiamarsi a una<br />

sedicente “balcanicità” della cultura croata non ha portato a nulla di buono;<br />

discorrendone con intellettuali stranieri, ivi inclusi alcuni storici specializzatisi<br />

nel Novecento, mi sono trovata d‘accordo con la conclusione che il termine<br />

“balcanico” (etimo legato al vocabolo turco che indica una montagna) non può<br />

essere definizione geografica, politica né culturale, ma rappresenta piuttosto<br />

una definizione artificiale, una categoria mentale (sulla scia della mentality research<br />

contemporanea) che per la sua diversificazione e non omogeneità difficilmente<br />

può avere un significato preciso e fare da “minimo comune denominatore”,<br />

quand‘anche volessimo riferirci alle interpretazioni di viaggio di Alberto<br />

Fortis o alle cartografie geopolitiche di Winston Churchill.<br />

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