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LA NARRAZIONE AUTOBIOGRAFICA E IL FUNZIONAMENTO DEL SÉ

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“coda”, cioè la parte finale della storia che si caratterizza per la presenza di riflessioni conclusive<br />

e di commenti generici riguardo all’evento narrato e ai suoi collegamenti con i temi successivi<br />

(Labov, 1997; Angus et al., 1999). Nel colloquio, la fine di una narrazione ha, infatti, una qualità<br />

interattiva, dal momento che il clinico partecipa alle riflessioni e alle conclusioni, facendo<br />

domande e commenti. Il passaggio a temi o argomeni differenti nel colloquio dipenderebbe,<br />

inoltre, dalle caratteristiche del disturbo e della relazione tra clinico e paziente. I risultati di<br />

alcune analisi qualitative e linguistiche, basate sull’uso dell’approccio grounded theory (Charmaz,<br />

2006), mostrano, ad esempio, che nelle terapie psicodinamiche esistono differenze sostanziali<br />

nella coerenza narrativa e nella qualità degli shift tematici, quando il paziente presenta un<br />

disturbo borderline di personalità (Rasmussen & Angus, 1996, 1997). Le interazioni tra questi<br />

pazienti e i loro terapeuti presentano shif tematici repentini e confusi in cui risulta molto difficile<br />

identificare una coerenza narrativa negli scambi e nelle riflessioni che seguono la narrazione di<br />

un evento (Angus et al., 1999). In questo senso, quindi, per ovviare alla difficoltà nella selezione<br />

e nella codifica della fine di un segmento tematico, è necessario prestare particolare attenzione<br />

a quelli che abbiamo definito stimoli esterni, cioè ai marker linguistici che identificano gli<br />

interventi del clinico, che, più di quelli del paziente, permettono una comprensione condivisa, ma<br />

differenziata, degli argomenti centrali del discorso. In questo senso, sarebbe interessante in<br />

futuro indagare l’effetto degli interventi del clinico e della qualità dell’interazione sulla<br />

narrazione che il paziente fa dei suoi ricordi personali.<br />

Per quanto concerne, invece, la siglatura del livello di complessità narrativa del secondo step<br />

(scala Likert 1-5), i risultati dimostrano che la scala è in grado di identificare un aumento<br />

graduale dell’articolazione narrativa del parlato e di differenziare in modo attendibile le “unità<br />

narrative” (punteggi da 3 a 5). Non si sono riscontrate, però, differenze statisticamente<br />

significative tra i livelli di complessità superiori al punteggio 3. Questo dato è probabilmente<br />

associato alla difficoltà, già descritta da altri autori, di operazionalizzare gli aspetti e le<br />

componenti aggiuntive di una narrazione che ne definiscono e ne determinano il grado di<br />

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