LA NARRAZIONE AUTOBIOGRAFICA E IL FUNZIONAMENTO DEL SÉ
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Eddy, 1995; Povinelli & Simon, 1998; Damasio, 1999; Perner, 2000). Secondo Nelson (2003),<br />
solamente attorno ai tre o quattro anni, con la comparsa di un linguaggio più articolato e di<br />
una maggiore capacità di rappresentare la realtà, il bambino riconosce un proprio “sé<br />
rappresentazionale”; in questa fase, è in grado di integrare i ricordi, che mantengono ancora<br />
un carattere semantico. La memoria autobiografica emerge più tardi, alla fine dell’età<br />
prescolare (4-6 anni), quando compare il “sé narrativo”: solo a questo punto, il bambino è in<br />
grado di organizzare e di narrare le esperienze del passato e del futuro in una life story<br />
coerente e stabile nel tempo, che si differenzi dalle storie degli altri. Da un lato, è necessario<br />
che il bambino sviluppi buone abilità linguistiche (Fivush, 1994) e che sia in grado di dare<br />
una struttura narrativa socialmente accessibile e comprensibile ai propri ricordi (Nelson,<br />
1993; Pillemer & White, 1989). Dall’altro, però, l’amnesia infantile, in quanto incapacità di<br />
raccontare le esperienze che si verificano nei primi due o tre anni di vita, sarebbe la diretta<br />
conseguenza di un’incompleta maturazione del senso di continuità del sé nel tempo (Rovee-<br />
Collier, 1993; Newcombe & Fox, 1994; Meltzoff, 1995) che è una caratteristica fondamentale<br />
della memoria autobiografica episodica (Bauer, Hertsgaard & Dow 1994; Nelson, 1993).<br />
Secondo il modello di Nelson (2003), l’ultima tappa della costruzione narrativa del sé sarebbe<br />
quella del “sé culturale” (5-7 anni): la capacità del soggetto di integrare i contenuti della<br />
propria memoria autobiografica con i ruoli, le regole e le rappresentazioni sociali della propria<br />
cultura di appartenenza.<br />
L’enfasi dell’approccio narrativo e socio-costruttivista sulla narrazione nella costruzione del sé<br />
ha influenzato negli ultimi decenni anche la psicologia clinica (Gonçalves, 1995, 1998;<br />
Luborsky & Crits-Christoph, 1998; Dimaggio & Semerari, 2004; Angus & McLeod, 2004;<br />
White, 2004). Un interessante contributo in questo filone di studi è stato apportato dai lavori<br />
di Angus e colleghi (Angus, Levitt & Hardtke, 1996, 1999; Angus, Lewin, Bouffard, &<br />
Rotondi–Trevisan, 2004; Angus & Hardtke, 2007) e di Gonçalves (1995, 1998), secondo i<br />
quali la possibilità di narrare la propria vita durante un colloquio clinico, oltre che essere alla<br />
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