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LA NARRAZIONE AUTOBIOGRAFICA E IL FUNZIONAMENTO DEL SÉ

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In assenza di una definizione condivisa del sé, lo studio della relazione tra sé e memoria<br />

autobiografica ha subito diverse fluttuazioni, nonostante la convinzione condivisa che “la<br />

memoria autobiografica riguardi il sé […] e garantisca un senso di identità e di continuità”<br />

(Rubin, 1986; p.7).<br />

Già nella prospettiva psicoanalitica classica, il ricordo del paziente, oltre alle associazioni<br />

libere e ai sogni, permetteva di ricostruire o osservare direttamente i desideri e gli impulsi<br />

dell’Es, le imposizioni morali del Super-Io, le aspirazioni dell’Ideale dell’Io, gli sforzi dell’Io per<br />

coordinare tutte queste esigenze (Freud, 1899). Nei modelli cognitivi, in contrasto con altre<br />

forme di memoria a lungo termine, la memoria autobiografica è, per definizione,<br />

intrinsecamente collegata al costrutto del sé (Brewer, 1986) e assume una funzione<br />

fondamentale nel garantire un senso di continuità (Robinson, 1986). Come già sottolineato<br />

nel primo capitolo, “la memoria autobiografica, come sistema, cerca di trovare un significato<br />

ad ogni particolare ricordo, inserendolo dentro una trama più ampia, in modo da formare un<br />

tutto coerente” (Smorti, 2007; p.94). Tuttavia, questa coerenza non riguarda solo il rapporto<br />

di un ricordo con gli altri o di una dimensione del ricordo con l’altra (emozione, narrazione,<br />

imagery), ma finisce per coinvolgere contesti ancora più ampi, relativi al sé. Insomma, la<br />

funzione della memoria non è solo quello di rappresentare la realtà, ma anche quella, come<br />

dice Conway (2005), di supportare un sé efficiente e coerente. Conway e Pleydell-Pearce<br />

(2000) ritengono, infatti, che le rappresentazioni di sè possano influenzare la costruzione<br />

della memoria, inibendo i ricordi incoerenti o in contraddizione con gli schemi e le<br />

conoscenze di sé, riorganizzate e definite nel tempo. Secondo l’approccio funzionale di<br />

Bluck, Alea, Habermas e Rubin (2005), la memoria autobiografica avrebbe il compito di<br />

garantire una continuità del sé e “l’integrazione psicodinamica” delle sue componenti<br />

principali (Pillmer, 1992).<br />

Rubin (2005) sottolinea che una delle conseguenze della presenza di una struttura<br />

multicomponenziale di memoria è che non si può parlare del sé come di un’unica entità<br />

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