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LA NARRAZIONE AUTOBIOGRAFICA E IL FUNZIONAMENTO DEL SÉ

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proprio passato, ma anche perché è rivissuto con “imagery” 1 , cioè attraverso contenuti<br />

sensoriali e immaginifici che lo rendono particolarmente vivido nella mente del soggetto,<br />

nella descrizione e nel linguaggio. La specificità del ricordo dipende dalla presenza di<br />

immagini mentali durante la rievocazione e dalla frequenza con cui viene recuperata la<br />

traccia mnestica relativa all’evento memorizzato (Brewer, 1986). Quando l’evento non è<br />

unico e specifico, ma si ripete più volte nel tempo, Brewer parla di “ricordo personale<br />

generico”, se sono presenti componenti immaginative durante la rievocazione, e di self-<br />

schema, se, invece, non si rilevano aspetti sensoriali visivi. La classificazione dei contenuti<br />

autobiografici di Brewer sottolinea l’importanza della vividezza e del grado di specificità di un<br />

ricordo. Secondo, Brewer (1996) e Rubin (Rubin, 2003; Rubin & Siegler, 2004), infatti, la<br />

definizione di ricordo autobiografico implicherebbe sempre la presenza di un’esperienza di<br />

“re-living” del proprio passato nel presente, in cui la vividezza e le componenti sensoriali<br />

dell’evento riattivano i vissuti del contesto di codifica. Un ricordo è autobiografico se è<br />

particolarmente vivido nella mente del soggetto e se è ricco di dettagli specifici.<br />

Dal punto di vista sperimentale, infatti, il grado di coinvolgimento personale del soggetto al<br />

momento del recupero può essere valutato solamente attraverso l’analisi delle componenti<br />

descrittive del ricordo, come il grado di specificità o la presenza di contenuti immaginifici o<br />

sensoriali nel racconto. L’analisi fenomenologica delle descrizioni dei ricordi è una delle<br />

questioni ancora aperte nell’ambito della definizione e della ricerca sulla memoria<br />

autobiografica: “il dato che possiamo valutare è solamente ciò che il soggetto riporta del<br />

proprio ricordo (Rubin, 1986; p.5). Secondo alcuni autori, le componenti fenomenologiche<br />

della memoria sarebbero l’espressione e l’effetto dei fenomeni ricostruttivi che caratterizzano<br />

i processi di codifica e di recupero dei ricordi e le loro interazioni. Oggi è comunemente<br />

1 “Mental imagery” è un termine inglese che riassume molte delle caratteristiche dell’esperienza percettiva e mentale quotidiana<br />

di ciascuno di noi: potremmo, infatti tradurre il termine con altre definizioni quali “visualizzazione”; “vedere con gli occhi della<br />

mente”, “avere un’immagine mentale”, “rappresentare visivamente” (Galton, 1880; 1983; Betts, 1909; Doob, 1972; Marks,<br />

1984, 1985; Brewer & Schommer-Aikins, 2006). In generale con imagery si intende l’utilizzo di un linguaggio vivido e figurativo<br />

per descrivere un oggetto, un’esperienza, un luogo o un’idea. Nonostante la familiarità di questa esperienza, tuttavia, esiste<br />

ancora un ampio dibattito tra filosofi, psicologi e scienziati cognitivi riguardo alla sua definizione, alla sua funzione psicologica e<br />

anche riguardo alla sua esistenza. Nella tradizione filosofica e letteraria l’espressione “mental imagery” si riferisce a tre differenti<br />

significati: (a) un’esperienza cosciente “quasi percettiva”; (b) rappresentazioni ipotetiche simili a immagini immagazzinate nella<br />

mente; (c) rappresentazioni mentali di ogni genere (simili o meno a immagini).<br />

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