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14 PG CV, 856-861.<br />
15 MGH EE VI, 556-561.<br />
16 DÖLGER, Reg., n. 464.<br />
<strong>Porphyra</strong> Anno IV, numero IX, Maggio 2007<br />
“L’età macedone: dotti, militari, patriarchi”<br />
a quella della sua deposizione. 14 Il caso di Ignazio si saldò con<br />
quello giacente di Asbesta; papa Niccolò, nonostante Ignazio<br />
ancora nell’861 avesse respinto qualsiasi appello a Roma,<br />
nell’agosto 863 depose sia Asbesta che Fozio, reintegrando in<br />
pieno il suo predecessore nel corso di un sinodo lateranense.<br />
Entrambe le parti bizantine erano state concordi nel<br />
riconoscere la giurisdizione petrina, ma il papa, applicando con<br />
scrupolo il diritto alla situazione come la conosceva, non tenne<br />
in conto la complessità della questione politica e nel momento di<br />
maggior impegno colse un insuccesso pratico, emettendo una<br />
sentenza destinata a rimanere inapplicata. La sentenza di<br />
Niccolò, volta a fare del papa il custode universale della legalità<br />
canonica, di fatto mise in pericolo la possibilità concreta<br />
dell’affermazione del primato in Oriente. Il papa peraltro non<br />
esitò a punire i suoi stessi legati e ammonì l’imperatore a non<br />
immischiarsi più nelle faccende ecclesiastiche. 15<br />
Il risultato fu una radicalizzazione dello scontro e delle<br />
posizioni teologiche sottese alla disputa canonica: patriarca e<br />
basileus, che avevano bisogno di Roma per sostenere la loro<br />
autorità nello sforzo di pacificare la chiesa bizantina, vedevano<br />
così vanificato il loro obiettivo e sovvertito il loro ruolo, da<br />
giudici a imputati. Michele III indirizzò perciò a Niccolò una<br />
lettera saccente, in cui rivendicava il primato imperiale,<br />
affermava che la richiesta di legati per il concilio dell’861 era<br />
stato solo un atto di cortesia e chiedeva perentoriamente che<br />
Fozio fosse riabilitato. 16<br />
Nella missiva Niccolò era trattato da semplice suddito,<br />
per cui implicitamente affiorava il rancore di Bisanzio per lo<br />
scisma imperiale carolingio. Ma ciò che colpiva era<br />
l’atteggiamento di Michele: esso, se ricordava quello di<br />
Giustiniano verso Vigilio e in genere quello di tutti i despoti<br />
porporati contro i papi nelle controversie cristologiche dei secoli<br />
VII-VIII, nella sostanza lo travalicava enormemente, in quanto<br />
metteva chiaramente in discussione il primato papale, cosa che<br />
nessuno degli imperatori precedenti aveva mai fatto. Una<br />
questione delicata come uno scisma patriarcale non poteva<br />
essere considerata del tutto estranea alla giurisdizione petrina,<br />
specie dopo che essa era stata esplicitamente interpellata. Questa<br />
lettera fu senz’altro l’espressione più matura – e forse l’unica<br />
consapevole – della teocrazia bizantina, con la pretesa di mettere<br />
il monarca sul papa, rendendo superfluo il suo ruolo. Tale<br />
background culturale non era certo quello autentico della<br />
tradizione orientale e rivelava peraltro una scarsa perspicacia<br />
politica del sovrano, che così perdeva ogni contatto con la chiesa<br />
romana. Nell’immediato Michele III poteva non averne bisogno,<br />
ma in prospettiva tutta la politica imperiale ne usciva impoverita.<br />
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Rivista online a cura dell’Associazione Culturale Bisanzio