STORIA DI UNA NAZIONE - Ortigia.it

generale; Ferdinando rientra a Napoli acclamato dal popolo, Comincia la repressione
contro i carbonari; il compito di aguzzino è affidato al ministro di polizia, il Principe di
Canosa..
LA RIVOLTA DI NAPOLI DEL 1820.-
La rivolta a Napoli comincia il 2 luglio 1820; non ha niente di originale, è il riflusso di
un movimento che si è mosso da qualche altra parte in Europa.
In particolare questa rivolta parte dalla Spagna, dove con la caduta di Napoleone,
torna sul trono di Madrid Ferdinando VII di Borbone, nipote e genero (n’aveva sposato la
figlia) di Ferdinando di Napoli.
Appena insediato questi cancella la costituzione ex francese e il popolo (anzi
l’esercito) si ribella chiedendo a gran voce la reintroduzione del codice napoleonico e della
costituzione quindi.-
La rivolta si estende a tutto il paese, i governi che si sono riuniti sotto la “Santa
Alleanza” e l’Austria in particolare che s’è presa il compito di guardiano dell’assolutismo,
vogliono intervenire, ma la Francia nega loro il passaggio attraverso il suo territorio;
Ferdinando VII deve bere l’amaro calice ed accettare la costituzione napoleonica.
Questo in breve.-
Quest’idea della costituzione napoleonica varca il mare e giunge a Napoli.
In mancanza d’idee proprie, le frange estremiste italiane sono sempre con le
orecchie tese a captare i segnali che giungono dal Nord, ma questo segnale stavolta
giunge da ovest e sul modello spagnolo si costruiscono una rivoluzione, forse perché
quello spagnolo è più congeniale alla popolazione delle due sicilie, un po’ per similitudine
delle condizioni cui versa il popolo, un po’ per lo stretto legame tra le due dinastie
borboniche, un po’ per il regime semifeudale che unisce le due sponde, ma certamente
perché il segnale che viene da Cadice (dove ha avuto inizio la rivolta spagnola) ha un
tono di anarchia che si modella perfettamente agli umori del nostro regno.
Napoli dà il segnale di via, Palermo la segue a ruota.-
Purtroppo è sempre la stessa suonata; ci sono i presupposti, mancano le
conclusioni. Le forze rivoluzionarie italiane sono ammalate di confusione, insufficienza,
limiti, fragilità.
La notte del 1° luglio 1820 un reparto di cavalleria, comandato dal tenente Morelli, di
stazza a Nola, scende in piazza gridando ”viva la libertà, viva la costituzione”. Morelli è un
carbonaro e si è mosso autonomamente, stanco di aspettare l’ordine dai suoi compagni,
che non arriva mai.-
Dapprima il popolo non si muove, ma ad Avellino qualche centinaio di cugini
carbonari si uniscono al suo plotone. Avellino è la sede comando del generale Guglielmo
Pepe, che è la personalità più in vista tra quegli ufficiali che formatisi nelle file di Murat,
sono stati allontanati dalla restaurazione, e ad Avellino sì ci trova male.- Egli non è un
carbonaro, ma ha avuto stretti contatti con la carboneria, per coordinare un piano di
sommossa tipo spagnola. Non c’è riuscito perché la carboneria di Napoli non ha né un
capo né un’organizzazione capace di sviluppare un vera azione reazionaria politica. Nel
suo organigramma si sono innestate idee giacobine, e tutto quanto fa moda. basta che sia
contestazione. Un gran numero di questi affiliati proviene dalla borghesia, dall’esercito,
mercanti, professionisti in genere e soprattutto preti di campagna (basso clero) e tra
questi personaggi nessuno emerge a livello di leader–capo.-
Ecco perché Morelli si rivolge a Pepe; cerca un capo.