Relazione finale SSIS Filosofia e Storia - DarioDanti.it
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caverna: “Che loro stando rinchiusi fin da piccini e credono che siano le ombre che parlano,<br />
che siano gli oggetti che parlano e credono una cosa che non è vera”. Poco dopo dirà<br />
Francesco C.: “Mi ha colp<strong>it</strong>o che non sono mai andati fuori”. E il prof. Ovidio Della Croce:<br />
“E non conoscono altro. Solo le ombre e le scambiano per cosa?” Francesco C.: “Per vero”.<br />
Infine Ovidio: “Questo è un grande problema filosofico: il rapporto tra ciò che è vero e ciò<br />
che non lo è, tra realtà e illusione”. L'essere prigionieri delle ombre e accettare come naturali le<br />
cose nell'unico modo in cui ci appaiono, respingendo ogni alternativa perché giudicata falsa, è<br />
una condizione della natura umana presente sia al tempo di Platone che oggi. Un insegnamento<br />
di questa discussione, a metà fra il confronto aperto e il tentativo di farsi dialogo filosofico, è<br />
quello di provare a guardare la realtà con altri occhi, mantenere il senso della cr<strong>it</strong>ica, non<br />
accettare il mondo come eterno e naturale.<br />
Anche da tutte e cinque le versioni e visioni della caverna, seppur con accenti differenti, viene<br />
una medesima suggestione: non credere che il mondo presente sia quello reale, ossia l'unico<br />
possibile, ovvero quello naturale ed eterno. Naturalizzare la propria condizione presente, come<br />
se fosse stata sempre tale, sarebbe, è, l'errore più grande. Anziché andare alla ricerca di<br />
universalizzazioni possibili, batterne di nuove e di vecchie è forze la consegna più difficile e<br />
ambiziosa. Il m<strong>it</strong>o allegorico, i racconti di Kafka e Pirandello, i pezzetti del romanzo di<br />
Saramago e le scene di Matrix di tutto questo ci vogliono, ognuno a modo proprio, parlare.<br />
Detto in maniera “più filosofica”: ricercare la possibil<strong>it</strong>à di fuoriuscire e di trascendere<br />
l'immanenza della condizione presente. Non accettandola come naturale.<br />
Ci stupiamo e ci meravigliamo quando prendiamo consapevolezza di tutto questo. Come<br />
Cipriano, Ciàula, Neo e i prigionieri.<br />
Sono gli occhi, da sub<strong>it</strong>o, a consegnare a ciascuno un impatto possibile delle versioni e delle<br />
visioni della realtà. Seguendo una volontà: «Laggiù sta succedendo qualcosa e io devo saperlo,<br />
Qualunque cosa ci sia non potrà rimanere segreta per tutta la v<strong>it</strong>a, Marçal mi ha detto che ci<br />
avrebbe raccontato tutto, di r<strong>it</strong>orno dal turno, Benissimo, ma a me una descrizione non basta,<br />
voglio vedere con i miei occhi» [Saramago]. Non nascondendo le difficoltà: «E se lo si<br />
costringesse a guardare la luce stessa, non sentirebbe male agli occhi e non fuggirebbe<br />
volgendosi verso gli oggetti di cui può sostenere la vista?» [Platone].<br />
Anche se dobbiamo sempre tenere presente la saggezza di Morpheus:<br />
Neo, cui si devono ricost<strong>it</strong>uire i muscoli atrofizzati, apre gli occhi.<br />
Neo: Mi fanno male gli occhi.<br />
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