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Allorquando entrarono <strong>nel</strong>la stanza si accorsero che la seconda porta<br />
era stata scassinata e la bara rovinata. Allarmati vollero accertarsi circa i danni<br />
riportati dalla s<strong>te</strong>ssa. La par<strong>te</strong> an<strong>te</strong>riore della cassa era stata abbattuta e la<br />
bara, <strong>nel</strong>la maggior par<strong>te</strong> delle colonne, era stata privata della crosta d’argento<br />
che la ricopriva. Comprendendo trattarsi di furto, ritornarono sui propri passi<br />
<strong>per</strong> avvertire i rappresentanti della Chiesa e le autorità.<br />
Una not<strong>te</strong>, tuttavia, uno dei sacrestani, passando innanzi ad una delle<br />
finestre che guardano all’in<strong>te</strong>rno della cat<strong>te</strong>drale, aveva notato un uomo con<br />
un lume in mano aggirarsi all’in<strong>te</strong>rno della navata la<strong>te</strong>rale, in atto di sollevare<br />
un lembo della cortina che ricopriva suddetta finestra dietro cui si trovava.<br />
A quella vista il ragazzo emise un grido, corse in mezzo ai propri compagni<br />
<strong>per</strong> lanciare l’allarme e raccontare quel che aveva visto. Doveva trattarsi,<br />
quindi, di un furto, ma non sussis<strong>te</strong>vano sospetti su alcuno: un vero enigma.<br />
Fino al 1890 le sacre reliquie con tutto il <strong>te</strong>soro, erano custodi<strong>te</strong><br />
normalmen<strong>te</strong> dentro il duomo, avvenuto il furto, e recu<strong>per</strong>ata par<strong>te</strong> della<br />
refurtiva, si pensò bene di tu<strong>te</strong>lare questo inestimabile <strong>te</strong>soro con dei cancelli<br />
robustissimi ed invalicabili in ferro, da qui il famoso proverbio catanese, il<br />
quale riferisce che dopo che Sant’Agata fu derubata, fu pro<strong>te</strong>tta con por<strong>te</strong> in<br />
ferro. Oggi, quindi, presso la navata destra del duomo sorge una pesantissima<br />
ed altissima ringhiera che blocca l’accesso all’altare di Sant’Agata.<br />
Ma anche <strong>nel</strong>la Chiesa del S. Carcere fu commesso un furto sacrilego, se<br />
ne ha memoria da una relazione del Vescovo di Messina, secondo cui il sac.<br />
Let<strong>te</strong>rio Lo Giudice giunse da Messina col fra<strong>te</strong>llo Domenico <strong>per</strong> celebrare<br />
messa <strong>nel</strong>la chiesa della Fornace, poi andò a visitare il S. Carcere, prendendo<br />
2 pezzi di pietra, su cui sono impresse le peda<strong>te</strong> della Santa. Allorquando si<br />
imbarcarono <strong>per</strong> il ritorno, si sca<strong>te</strong>nò una gran <strong>te</strong>mpesta, ciò si ripeté tut<strong>te</strong> le<br />
vol<strong>te</strong> che <strong>te</strong>ntarono di lasciare <strong>Catania</strong>. Solo quando fecero voto alla Santa<br />
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