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Leonardo Mancino - Arcipelago Itaca

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Inediti<br />

Gianni<br />

Caccia<br />

93<br />

x<br />

nero di alberi che stava per inghiottire il treno, superato l’accenno di curva, ai contorni sempre più lontani dei monti.<br />

– Non l’avresti detto, vero?<br />

Il rapinatore inclinò bestialmente il suo ghigno, scivolandogli la canna dalla tempia al mento.<br />

– Tu fai il bravo, ma potrebbe non salvarti lo stesso.<br />

– Lo so – disse Matthew Trotta.<br />

– Ah, lo sai – ringhiava il rapinatore. – E allora saprai anche che sei in mio potere. In potere di questa – e indicò la realtà.<br />

Matthew Trotta torse il volto per fuggire l’alito di peste, scrutando il pannello dei comandi.<br />

– Pensa, è un attimo: io premo il grilletto e faccio saltare quella tua faccia di cazzo.<br />

– È lo stesso. Tanto non ho speranza – disse Matthew Trotta.<br />

– Può darsi che tu l’abbia, come no. Sono cose che non si possono sapere prima. Basta un dito tirato indietro, un attimo.<br />

– Non intendo questo – ribadì Matthew Trotta. – Io non ho mai avuto speranza.<br />

Il rapinatore raddrizzò un poco lo sguardo bovino.<br />

– Mai avuto speranza... forse vuoi cavartela con delle belle parole, ma non m’incanti. – Premette la canna della pistola sulla guancia. –<br />

Dovresti averlo capito, che non puoi fare il furbo con me. Basta un dito…<br />

– Intendo che quando uno non ha speranza mette in conto tutto, della realtà.<br />

– Anche che un colpo spappoli la tua faccia di cazzo?<br />

– Anche. Come qualsiasi altro imprevisto. Per esempio…<br />

– Per esempio cosa?<br />

– Una frenata brusca.<br />

Fu un attimo, come aveva detto il rapinatore. La mano di Matthew Trotta era già posata sul freno d’emergenza, e lo aprì del tutto. Le ruote<br />

stridettero mille scintille di rabbia sui binari, una mano gigantesca schiacciava tutto il treno sulla cabina di guida, come se tutti i vagoni volessero<br />

entrare, appiattirsi per una parte, anch’essi, di realtà. Matthew Trotta si aggrappò al mancorrente e si tenne in piedi, mentre il rapinatore finiva<br />

senza controllo sul quadro comandi.<br />

I motori borbottavano al minimo, tornati regolari e pronti alla marcia. Il rapinatore giaceva riverso sul pannello, doveva aver battuto nella<br />

frenata, non sapeva tutto l’imprevisto come Matthew Trotta, che se l’era cavata con un bel dolore al gomito; la faccia piegata innaturalmente di<br />

lato, gli occhi sbarrati su qualche strumento di bordo, un rigagnolo di sangue gli colava dalla bocca rimasta aperta nel suo ghigno, come un gatto<br />

finito sotto un’auto e toccato dal paraurti quanto bastasse.<br />

Matthew Trotta spalancò la porta del locomotore alla sua sinistra, sollevò la realtà dal quadro comandi e tenendola goffamente sotto le ascelle<br />

la spinse fuori. Il fantoccio inclinò di lato e rimase un attimo piegato in due sulla ringhiera, con le braccia e la testa ciondolanti nel vuoto, infine<br />

compì un mezzo giro su se stesso e rotolò per la massicciata, verso la bianchezza della neve che resisteva alla ferrovia; la realtà espulsa, eliminata<br />

dall’orizzonte che si rifaceva vicino.<br />

Con sapienza manovrò manopole e leve e ridiede pressione; qualche goccia di realtà bagnava ancora il quadro comandi, ma l’avrebbe rimossa<br />

presto con uno straccio. Il locomotore risalì di tono e buttò al cielo volute di fumo più spesse, poi la tensione si sciolse e ricominciò la sua marcia,<br />

tirandosi dietro la lunga scia di carri merci con la solita, tenace, buona lentezza.<br />

Matthew Trotta depose lo straccio appena imbevuto in un angolo del pannello; solo allora i suoi piedi toccarono la pistola. Si chinò a raccattarla<br />

e l’ultimo residuo di realtà volò fuori dal finestrino. Davanti a lui i monti, sempre più distinti nel sole, si facevano incontro a proteggerlo nel loro<br />

conforto inviolato.<br />

rimossa

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