Leonardo Mancino - Arcipelago Itaca
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Da La Vallemme dentro, 2000<br />
Gianni<br />
Caccia<br />
68<br />
x<br />
guardarla?” Poi ha sghignazzato del mio silenzio. “Possibile che non ti abbiano detto di Haghios?” Allora ha tratto un sospiro, e senza più<br />
ridere me l’ha insegnata lui, con pazienza. Anche Haghios era marinaio, su un traghetto che tentava una rotta uguale a tutte le altre.<br />
Nessuno sa di preciso dove è successo, né quando, né su quale nave; potrebbe essere anche su questa, ma non importa saperlo. Haghios,<br />
come me e come te, come tutti, era stato avvertito del pericolo: in questi giorni, quando tutto d’intorno è un colore di viola e di cenere che<br />
non lascia confini e ti sembra di navigarvi sospeso, può accadere che in un attimo, in un angolo nel fondo del cielo, si squarci, e appaia un<br />
chiarore, prima ancora confuso di cenere, poi sempre più netto. Un chiarore d’arancio, una macchia che muta continui i contorni per<br />
assumere le forme più varie: un cerchio, una striscia lunga e sottile come una ferita del cielo che sanguina. Non dà calore e non rischiara,<br />
capisci subito che non è il sole e non ha la vita, o forse reca altra luce e altra vita. Quel chiarore non lo devi guardare: spicca troppo diverso<br />
dal viola e se lo guardi ti affascina, troppo ti affascina e ti attira a sé; e allora non puoi distrarre gli occhi, puoi guardare solo là e devi<br />
guardare là, finché i sensi non si placano e tu ti stacchi da terra, e voli a quel chiarore. Così successe ad Haghios: stava salendo, per un<br />
qualunque motivo, su per una scaletta esterna della sua nave, che in un giorno come questo trascorreva senza fine l’irosa mescolanza<br />
concessa dal cielo. All’improvviso si bloccò, come fulminato dal disegno più chiaro che aveva colpito il fianco della nave, poco sopra di lui. E<br />
si voltò a guardare. Un angolo dell’orizzonte si era aperto per fare posto alla luce che cresceva pian piano, fin quasi a parere l’incendio del<br />
sole al tramonto, o la tinta indecisa che fora le nuvole della burrasca. Haghios sapeva di certo la storia; non di meno guardò alla luce e restò<br />
lì impietrito, sulla scaletta, col viso che trascolorava beato mentre lo squarcio gli batteva sul corpo, avvinghiandolo tutto. Un marinaio, di<br />
sopra, se ne avvide, e dalla bocca coperta col braccio uscì un grido rauco: “Haghios, non farlo! Ascoltami, Haghios! Voltati, fin che sei in<br />
tempo!” Ma Haghios non era più a tempo e non lo sentiva, continuava a sorridere alla luce che era divenuta il suo stesso corpo d’arancio;<br />
poi le sue mani e i suoi piedi lasciarono la presa di ferro della scaletta. Subito diede l’idea di cadere, ma in breve fu manifesto che si levava<br />
nel vuoto, anzi volava, volava trascinato alla luce senza un grido, né un lamento; nell’aria fu udito soltanto un suono leggero, come una<br />
cantilena monotona che subito si perse lontana. Così almeno parve a quelli dell’equipaggio che accorsero, con ogni cautela, alle grida del<br />
compagno sul ponte. Comunque Haghios non fu più visto e tutti si dissero che era inevitabile, chi guarda alla luce non può che finire verso<br />
di essa.<br />
Faceva ormai troppo freddo per stare fuori. Era stata una storia del mare, nient’altro che un deposito amaro sulla bocca di uomini senza<br />
più scogli, e l’alone d'arancio che trasformava i suoi contorni davanti a me non scaldava; era sempre meno distinto ora, come se la fonte si<br />
fosse stancata di mandare giù la sua forza. Le parole di Georghios non potevano più legarmi sdraiato al cordame.<br />
- Ho freddo. Vado sotto coperta a leggere qualcosa.<br />
Mi alzai senza indugio, badando bene a tenere lo sguardo in avanti. Non concessi più neanche un’occhiata alla luce bastarda sul ponte.<br />
Georghios non mi rispose e restò con le mani intrecciate attorno alle gambe; la testa sprofondò tra le ginocchia e i suoi pensieri ripresero a<br />
correre sentieri perduti di sale. Feci pochi passi sicuri verso la porta che conduceva sotto coperta. Prima della soglia diedi un guizzo<br />
all’indietro e la rubai, quel tanto da poter intuire lo strappo là in fondo, nel regno di cenere e viola dove acqua e cielo si erano uniti in<br />
eterno: una ferita stretta e lunga che si spandeva in un cerchio simile a un’arancia sanguigna, e già da una parte riguadagnava spazio il<br />
livore.