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Leonardo Mancino - Arcipelago Itaca

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Da La stadera, 2005<br />

Gianni<br />

Caccia<br />

74<br />

x<br />

largo della parola. Quello che mi mancava era lo scatto, la svolta che rimettesse tutto in gioco e non mi obbligasse a quell’assuefazione da<br />

tranquillità; giusto quello che mi offriva Vlady.<br />

E ora loro mi seguono, mi accerchiano, non l’ho compiuta l’opera, o se l’ho compiuta si sono già passati la voce e mi cercano, mi cercano<br />

qui nel loro buio; non dimenticano loro, hanno il senso della vendetta e mi seguiranno per sempre, sono spacciato, tanto vale che mi<br />

appiattisca a quest’angolo di muro, potessi sparire dentro!, ad aspettare. Una fitta percorre tutta la mia schiena: è il freddo di questo muro<br />

e non me n’ero accorto, m’era salita tutta una smania di calore quando facevo, e poi quando sono fuggito, ma ora il muro mi trapassa lo<br />

schifo della sua notte, è il freddo di questo buio, il freddo più vero che mi prepara alla fine.<br />

Quella sera eravamo in sei, con me. Il gruppo si vedeva da Milo, aveva la casa dietro il suo ristorantino di specialità locali, nel giorno di<br />

chiusura; non avevano un nome, ciò che li univa era la causa, la mia causa. All’inizio mi squadravano con diffidenza nell’aria che ristagnava<br />

di alcool e canne, anche se Vlady aveva subito provveduto a rassicurarli, è uno dei nostri, uno fidato, già vent’anni fa odiava i compagni<br />

peggio di voi. La tensione non si rompeva, un po’ non mi degnavano e intanto spiavano le mie reazioni ai discorsi, Vlady era il più agitato<br />

assieme a Rudolph, che era mezzo tedesco e andava in bestia se gli accorciavano il nome in Rudy; faticavano a contenersi anche se l’ordine<br />

era di parlare piano, i comunisti sono battuti ma stanno ancora dappertutto, ricordava pacato Milo, sono spie di natura e molti dei giudici<br />

sono dei loro, per questo stanno impuniti. Le mani lunghe e secche del mio amico gesticolavano nell’aria disegnando ombre bizzarre sulle<br />

pareti, la faccia asciutta e rugosa si arrossava e le labbra si coprivano di saliva; gli rispondeva la mascella larga e dura di Rudy, con la voce<br />

metallica e perentoria di un chiavistello. Gli altri due si limitavano per lo più ad annuire, Milo sedeva tranquillo sulla poltrona, per noi aveva<br />

apparecchiato sedie, e sorrideva di una contentezza maligna. Io li osservavo a mia volta: un ignorantotto con la testa fatta di slogan, un otre<br />

di birra dalla faccia quadrata e l’occhio di pesce lesso, uno stecchino di poco cervello e un ragazzetto lentigginoso che non avrei<br />

riconosciuto fuori il giorno dopo, e il padrone di casa, lubricamente elegante e cortese, mai una parolaccia: avevo scelto questi per amici,<br />

questi erano la causa. Ma la causa non ha persona, io dovevo pensare alla causa e non a chi la portava avanti.<br />

A un certo punto ho osato un intervento; poche parole dure per essere tenuto della partita. Io i comunisti sapevo cos’erano, rischiavi di<br />

beccarti insulti o anche botte a dirlo, a me non è toccata perché era meglio stare zitti; ma almeno non c’era l’accusa di razzismo, ora invece<br />

ci s’aggiunge anche questo, noi raccattiamo tutti i ladri e gli zingari e i delinquenti degli altri posti e se dici la verità sei subito un razzista. Gli<br />

sguardi di tutti si sono fissati con curiosità; mi sentivo finalmente considerato, al centro della riunione, era evidente che avevano<br />

apprezzato, persino il sorriso di Milo è cresciuto d’intensità e cattiveria e le labbra hanno preso un’espressione ancor più enigmatica, e per<br />

la prima volta ha preso la parola decretando la mia accettazione. Vlady mi ha rassicurato, con un bel sorriso che significava sei dei nostri.<br />

Dovevano ancora organizzarsi, spiegava, ma c’era già qualcosa che assomigliava a un piano per la causa; Milo poteva contare su certi<br />

finanziamenti, niente proclami e manifesti, c’era da agire, con quella gente bisognava agire e non serviva altro, gli appelli e le parole c’era<br />

già chi provvedeva, noi saremmo stati il braccio.<br />

Proprio quello che volevo per me: non mi è mai importato granché della letteratura e ho sempre preferito l’atto, qualche cosa ho<br />

masticato anch’io, dei gialli, quel libro di Hitler dal nome crucco che mi veniva rabbia solo a sentirlo nominare così metallicamente da Rudy,<br />

e una roba dello stesso tono, di uno che doveva essere un filosofo e diceva che l’uomo più forte è destinato a comandare e ha tutto il<br />

diritto di imporsi sul più piccolo; ma la pagina mi annoiava, io sono uno fatto per l’atto, e poi i libri inquinano col dubbio, la parola si può<br />

manipolare ma l’atto no, l’atto è quello, sai che devi fare quello e lo fai, l’atto viene prima di qualsiasi libro. Albanesi tutti appesi, ti piace?,<br />

mi ha chiesto Vlady quando la riunione era per sciogliersi, Milo che sorrideva impassibile sulla sua poltrona e noi già in piedi; come slogan è<br />

un po’ trito,

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