Leonardo Mancino - Arcipelago Itaca
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Da La Vallemme dentro, 2000<br />
Gianni<br />
Caccia<br />
66<br />
x<br />
sempre libera a metà dei miei viaggi e Maria che la riempiva per un momento. Qui è veramente ordine, dopo essermi illuso della forma<br />
d'ordine che mi soffocava nella città gioiello, nell'incastro dei palazzi dentro piazze fontane e ciottoli, illuso del verde atra bile dei boschi<br />
puliti quando a giorni mi facevo schiacciare dal desiderio di perdermi; ordine è il poco impasto di acqua e terra e pietra e ancora acqua,<br />
latità indivisa prima d'ogni forma, che non si può ordinare. Ora comprendo questa coltre di nebbia, che cos'è l'adagiarsi in lei. Ora sono<br />
dentro la valle e la inghiotto a pieni sorsi e mi devo fermare sull'argine, tanta l'aria che mi ubriaca il petto, tanta la scossa che mi investe<br />
da ogni parte e mi butta a sedere sui pietroni, stremato dalla gioia paurosa della vertigine, bagnato del freddo di fiume che mi ha fatto<br />
albero, sasso, gemma di nebbia. L'ho respirata dentro e mi sono bagnato di lei nelle ossa, sotto i vestiti, nelle mani che ho levate dalle<br />
tasche inutili; le palme si distendono non sazie a prendere ancora di questo mattino, a sorbirlo tutto nelle sue punture d'umido, di vita<br />
che urge. Mi si fa manifesto il fine degli autunni che andavo al fiume per i campi e mi perdevo nei vapori del suo corso, e dei pomeriggi<br />
nell'anno appena nuovo, quando pregavo un sole tardo che arridesse alle reliquie del giorno; allora dovevo fare premura alle ginocchia, e<br />
seguitare i passi fino a scoppiare di freddo e di nebbia, fino a un gelso, un salice dove potessi aggrapparmi e nell'abbraccio sentirla<br />
veramente dentro, la Vallemme dentro. Fossi dall'altra riva come quell'airone, nato dall'aria con un grido roco e un volo superiore al<br />
fastidio dell'uomo; invece devo risalire al ponte, e mirare grado a grado l'eternità dell'acqua nella muta del suo alveo. In breve i campi<br />
geleranno, in breve sarà il tempo d'abbandono ma l'acqua resterà intatta là sotto, serberà la vita dagli ultimi rigurgiti fangosi di<br />
novembre. Accade qui, in questa sottile ferita di elementi primi che genera la valle; lo ripeteva quello strano amico di Fren, che tutto<br />
accade presso i fiumi, dove nessuno passa e il tempo stesso è un'ansa pigra. E presso il fiume mi è accaduto di essere, lento, inesorabile<br />
tremore di essere finalmente qui, nella striscia che con eterna fatica si apre la via tra i sassi e la fanghiglia. Ora non è più storia: la<br />
partenza e il ritorno, la stanza alla Gasthof, la donna presa qua e là per non ricordare, non ha più storia, nulla.<br />
Non mi resta che svoltare lo sterrato che dà all'altra riva, la riva che più volevo di amore. Controcorrente, a passi melmosi, guadagno<br />
l'altro ponte, confluenza di stradine perdute tra gli sterpi e il fango di questo mattino senza termine. Un'ombra si addensa verso di me.<br />
Ha la faccia impeciata del suo cappottone nero e cavalca il suo arrosto di bicicletta, ma non mi si cela: Beppe Turchino sta imboccando il<br />
ponte verso il paese, come ho visto da sempre. Appesa al manubrio sta la vetusta borsa di pelle catrame, coi manici rosi sul punto di<br />
saltare e il bottiglione di vino sporgente, il vino che fa lui allungandolo del Lemme, tramandano in paese. Tempo addietro doveva<br />
propinarlo ai Genovesi, che tanto quelli bevono di tutto, poi la voce si era sparsa e ne vendeva più di rado, e a poco; forse ci si è<br />
impuntato e ormai gli preme solo di ricantare che è la sua uva e che è tutta invidia, si sa nei paesi come sono fatti. Ma il vino annacquato<br />
senz’arte non basta a giustificarlo delinquente; troppo impegnativo l'epiteto che gli hanno inflitto, e l'uomo che caracolla i suoi<br />
settant'anni sulla bicicletta di ruggine lo porta piuttosto male.<br />
- Ehilà, buongiorno! Siamo tornati, eh? Siamo venuti a farci una passeggiatina, per rivedere i luoghi?<br />
Non ho neanche da rispondergli, se non mezze parole di stento; l'uomo e la bicicletta sono già saliti traballando su per il ponte. Beppe<br />
Turchino è stato il primo a venirmi incontro e non ha mostrato meraviglia, solo la naturale ironia di chi ha inteso che cos'è, ritornare<br />
presso la propria ansa pigra. Lo guardo ancora un po' di spalle prima che scompaia nella nebbia, nel fiume.