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Leonardo Mancino - Arcipelago Itaca

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Da Il mare a destra, 2004<br />

Massimo<br />

Gezzi<br />

102<br />

Su una musica, quasi un canto<br />

La cenere portata dal vento<br />

si fa sabbia, scivola lungo i vetri<br />

dei finestrini delle automobili,<br />

diventa chiarezza, si fa ultima<br />

chiarezza contro il buio che diluvia.<br />

Tu cosa pensi? Com’è nel tuo sguardo<br />

questa luce, questa perseveranza<br />

dei passi e dei mattini, delle cellule<br />

del corpo che si sfanno e poi rinascono?<br />

Non è facile mischiarsi con il vento,<br />

e nemmeno raccontarlo, questo vento<br />

che massacra e divide le impennate<br />

delle onde, che ti fa<br />

trasparire dall’assiduo andirivieni<br />

della luce sulle coste: stamani<br />

come esisti, come sbocci dall’estrema<br />

nitidezza dei suoni mattutini, come sei<br />

ritirata dentro il palmo della luce –<br />

io vado per i vicoli e le strade<br />

del porto, e mi chiedo se sei almeno<br />

questa nebbia di spume.<br />

un fischio, un segno di riconoscimento<br />

(Eugenio Montale)<br />

Non so se la tua voce sia già estinta,<br />

fra i muri intricati che il nostro<br />

consueto labirinto di giorni<br />

cuce intorno: so solo che mi resta<br />

come un suono familiare, l’identico<br />

rumore del portone di casa aperto<br />

dopo mesi passati lontano.<br />

Ma il tempo ormai si è rappreso<br />

in una sfera, lacerata da crepe<br />

più lunghe di noi, e non è<br />

la trama dei tuoi capelli quel rivolo<br />

di ombre: è l’ombra<br />

della mia mano che la distanza<br />

ha reso enorme.

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