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Leonardo Mancino - Arcipelago Itaca

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Da La stadera, 2005<br />

Gianni<br />

Caccia<br />

71<br />

x<br />

ALBANESI TUTTI APPESI<br />

Ho sempre odiato i comunisti. Forse perché sono cresciuto tra loro, perché li ho visti sempre padroneggiare in municipio, perché un mio<br />

vicino di casa, untuoso con i miei e bavoso con mia sorella, era comunista e pontificava sul malgoverno o che ne sapevo io allora, o per<br />

quell’aria che hanno di credersi i soli onesti, i censori; fatto sta che li ho sempre odiati, che mi sono sempre detto e ridetto che se c’era<br />

gente da odiare quelli erano loro, che facevano le porcherie peggio degli altri, almeno gli altri avevano il coraggio di manifestarle mentre<br />

loro no, facevano tutto di nascosto e poi apparivano come se avessero l’anima netta, loro, che sotto sotto in Russia ne avevano ammazzati<br />

più loro di Hitler. Cerco di dirmelo anche ora, ora che ho il fiato che mi scoppia e devo ansare la mia disperazione col rischio che la sentano,<br />

non ce la faccio più a correre, a respirare e mi appoggio a questo muro, l’odore del muro, il tanfo della strada mi è dentro, mi è dentro<br />

questa sera che piomba nella notte in un urlo, buio e ombre più buie del buio che ormai non spero di uscirne; mi aggrappo a un punto del<br />

marciapiede, a quella cicca, a quella lattina schiacciata perché non mi giri la testa, la nausea non vinca, devo ripigliare il mio fiato e correre,<br />

non posso fermarmi ora che ho fatto, mi arrivano i loro passi, ecco le loro voci, no, è qualcuno che è sceso da una macchina, saluta e la<br />

macchina riparte prima che abbia pensato che dovevo fermarla, che poteva essere salvezza, ma fermarla a cosa dopo che ho fatto, i passi<br />

pesanti sono di una zoccola, sta attraversando la strada con i suoi stivaloni neri e la minigonna di pelle, torna da un cliente e nemmeno<br />

m’ha visto, altro che salvezza; loro non si fanno sentire, sono appeso a quest’angolo e loro già alle mie spalle. Devo ripetermelo con forza<br />

ora, che li ho sempre odiati; è per loro che ho fatto, anche questi qui erano comunisti.<br />

La pena migliore per i comunisti è il comunismo, Vlady rideva della mia uscita, compiaciuto che riflettesse così bene l’idea che era in lui,<br />

di lui; eravamo alla terza birra nella sua cantina, mentre sentivamo Back in black da un mangiacassette ch’era più solo fruscio, alla terza<br />

birra cominciavano i discorsi seri e allora godevamo a rafforzarci la nostra idea. Andassero in Russia a vedere come li trattavano i compagni,<br />

confermava Vlady, loro che cianciavano tanto dei lavoratori e l’avevano su col capitalismo e l’America e balle varie, quello sì che è un paese<br />

libero, s’infuocava Vlady sputacchiando birra cattiva, non sono mica molli come da noi coi delinquenti, là sanno come trattarli, là vanno per<br />

le spicce e per i delinquenti c’è la sedia elettrica, mica come da noi che tirano in lungo i processi per ingrassare avvocati e giudici e trovano<br />

sempre i cavilli per assolverli o mandarli subito fuori; l’America è un paese civile, la pena di morte è civiltà contro il crimine.<br />

A Vladimiro pesava il nome, da che aveva saputo che era di quello della rivoluzione russa, per la verità una delle poche cose che sapeva.<br />

Doveva aver speso tutta la vita a rimuovere quel nome che odorava d’odio, di nemico, era il riscatto dai suoi che l’avevano abbandonato<br />

con quel fardello addosso, il padre chi sa dove con qualcuna delle sue amichette, la madre che fattasene ragione aveva preso a badare a sé,<br />

canaste e bridge con le amiche e qualche avara beneficenza, a considerare il figlio come l’escrescenza ereditata dal marito; tanto il figlio<br />

era cresciuto, il diplomino pur con qualche anno di ritardo l’aveva preso e un lavoretto l’aveva rimediato, così lei poteva coronare il lento<br />

grigiore che l’accompagnava verso la pensione con qualche gita delle pentole o al più qualche viaggetto organizzato, Provenza, Costiera<br />

amalfitana o giù di lì. Con un nome del genere non poteva che essere nemico dei comunisti, Vlady raggiava quel pomeriggio gridandomi<br />

nelle orecchie che aveva fatto la scoperta, il suo nome era anche del conte Dracula, uno che aveva anche combattuto contro certi invasori, i<br />

comunisti di quel tempo; e lui si sentiva un uomo della notte, voleva affondare i denti nel collo dei comunisti, bisognerà cominciare a farlo<br />

prima o poi, proclamava come un ossesso quel giorno. Ma ora Vlady non c’è, ora sono solo, solo di fronte a loro che arriveranno, tra poco<br />

vedrò le loro ombre piombare sui marciapiedi, o arriveranno prima delle loro ombre, da dove meno me li aspetto, comunisti arriveranno.<br />

Vlady mi ha lasciato, li ha affondati nel collo a me i denti, sono segnato e mi riconosceranno, e saranno altri denti, altri morsi finché ci sarà<br />

fiato e sangue

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