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Leonardo Mancino - Arcipelago Itaca

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Su La Vallemme dentro<br />

al lettore di avvicinarsi all’opera con crescente rapimento.<br />

Danilo Mandolini, “Vico Acitillo - Poetry Wave”, 2001<br />

* * *<br />

[…]<br />

Senza specificamente voler parlare del volume di Caccia intitolato La Vallemme dentro, raccolta organica di racconti pubblicati presso le<br />

Edizioni Joker, o di altri racconti in particolare, vorrei fare qualche considerazione generale, ricavata più che altro da alcune prove narrative che<br />

mi hanno segnatamente coinvolto.<br />

Colpisce, già ad una prima lettura per così dire non “contenutistica”, il linguaggio. Un linguaggio ricco, complessivamente alto ma che sa<br />

piegarsi alle inflessioni più quotidiane e proprie del linguaggio parlato a seconda delle circostanze e situazioni, segnatamente nei dialoghi, dove<br />

si rinvengono frequentemente anche espressioni gergali; quindi un linguaggio – parlo non solo dell’aspetto lessicale, ma anche ad esempio di<br />

quello sintattico – che riflette una profonda padronanza e conoscenza della lingua ma che non è mai fine a sé stesso o ostentato in modo<br />

compiaciuto. Inoltre, una cosa che mi ha particolarmente colpito nello stile è il procedere nervoso, non di rado reso con un procedimento di<br />

variatio e brachilogico, cioè tendente alla brevità. Tutti procedimenti, sempre, funzionali come anzidetto al contenuto, all’esposizione e alle<br />

inflessioni di esso.<br />

Riguardo, appunto, al contenuto, mi pare che uno dei temi senza dubbio più importanti sia la giustizia. Emerge in molti racconti, infatti,<br />

un’ansia di giustizia e nello stesso tempo pare che ci si chieda se questa sia possibile a livello umano. La giustizia sembra anche guidata talora da<br />

un Fato (e si rammenti l’importanza del Fato nella concezione della civiltà greca, così cara a Caccia). Un Fato, dicevo, imperscrutabile e<br />

ineluttabile; e comunque, leggendo i racconti di Caccia, sembra che tra le righe sia continuamente sospesa una domanda, e cioè se ciò che è<br />

accaduto (specialmente ciò che di tragico e irrimediabile è accaduto) sia un caso oppure sia stato guidato da un destino che sta dietro le quinte,<br />

come un libro già tutto scritto di cui occorresse solo, nel tempo, sfogliare le pagine. La riflessione dell’autore tiene presente la natura<br />

dell’uomo, che è guardato con occhio disincantato. È un disincanto che porta ad uno sguardo oggettivo sulle cose, sugli eventi. L’uomo, pensa<br />

l’autore, è quel che è.<br />

Ma dietro questo sguardo oggettivo e questo disincanto stanno un uomo, un autore che non vogliono giudicare, perché – sembra dire<br />

l’autore – sarebbe troppo comodo; che guardano, scrutano nei recessi dell’animo umano per coglierne le più profonde motivazioni,<br />

giustificazioni o attenuanti, tutte cose che si possono solo incontrare nello spazio della coscienza individuale, umana, al fondo della quale è una<br />

radicata, inestirpabile – perché ad essa connaturata – dignitosissima ricerca etica. Ricerca etica, tra l’altro, che costituisce la cifra, così come di<br />

ogni autore degno di questo nome, anche di Gianni Caccia. […]<br />

Giovanni Giudice, da una presentazione pubblica, Imperia, 2004<br />

Gianni<br />

Caccia<br />

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