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Leonardo Mancino - Arcipelago Itaca

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Da La stadera, 2005<br />

Gianni<br />

Caccia<br />

77<br />

x<br />

senza più enigmi. Vlady mi ha informato. Avevano deciso il primo atto, giusto per far sentire che c’eravamo. Chi aveva deciso, ho azzardato.<br />

Contatti superiori, è intervenuto subito Milo, noi siamo solo una cellula, facciamo parte di una rete e non possiamo sottrarci al disegno che<br />

si sta spianando.<br />

Il primo e ultimo atto della guerra per ripulire il territorio dagli intrusi, dal male che in questo momento li accomuna, slavi, albanesi, froci<br />

e spacciatori, tossici e meridionali, tutti volevo ripulire, gli Albanesi prescelti avrebbero inaugurato. E invece sono io, il solo prescelto, la<br />

vittima abbandonata allo sbaraglio e la trappola si sta chiudendo, primo e ultimo atto della commedia giocata alle mie spalle, il muro mi<br />

trapassa il suo freddo, la notte si sta chiudendo su di me, verranno dalla notte a prendermi.<br />

Paura, eccitazione, voglia di fare: tutto si mescolava in me dopo che Vlady aveva proferito la sentenza con la voce che gli tremava,<br />

girando nervosamente la testa verso gli altri per non guardarmi. L’aveva mandata a memoria, te la senti, mi ha chiesto, di adeguare le tue<br />

parole ai fatti, la tua professione di fede all’atto in nome della causa. Gliel’avevano inculcata bene, Vlady non parla così di solito, stenta a<br />

mettere insieme una frase senza qualcuno dei suoi cazzocioediciamo. I loro sguardi mi devastavano, persino Milo aveva ripreso il sorriso da<br />

felino in agguato sulla sua preda, era la prova della mia fedeltà. Non potevo rifiutare, mi avevano prescelto. Una riunione, eccitato da Rudy<br />

che le cose di coraggio era buono a farle solo lui, mi ero vantato di saper sparare e che all’occorrenza non avrei esitato di fronte al bersaglio<br />

giusto; così mi sono ritrovato in mano la pistola. L’ho ricacciata subito nella tasca della giacca, senza guardarla. È per stasera stessa, vedrai<br />

che non è difficile, mi ha detto Milo; e mi ha indicato dove.<br />

Il prescelto, eccolo. Al muro ci mettono chi devono fucilare, questa è la mia esecuzione, la mia strada, non posso più scappare, l’unico<br />

posto dove potevo avere rifugio l’ho perduto, tendo l’orecchio ma non sento più rumori, solo qualche rara macchina che va via lontana,<br />

una sirena, mi cercano già o sono solo le autoambulanze che si precipitano a recuperare i corpi; ma poi è tutto silenzio, e allora vorrei i<br />

rumori, vorrei sentirli avvicinare perché almeno saprei quando, saprei che sono arrivati per donarmi pietosamente la fine, per placare<br />

questo silenzio che mi esplode dentro, quest’agonia che mi squassa al ritmo sempre più lento del mio fiato, sta misurando gli ultimi respiri<br />

prima dell’esecuzione.<br />

Ho scambiato il mio ruolo, o forse era già questo sin dall’inizio, io ero vittima come loro, mi sono lasciato scattare la trappola addosso<br />

poco a poco, riunione dopo riunione, Vlady e gli altri aspettavano il martire dalle belle idee che s’incastrasse da solo; ne ho avuto coscienza<br />

quando ero presso la porta, non ho avuto il coraggio di suonare giù, ho aspettato che uno uscisse e mi sono intrufolato nella tana, ho corso<br />

le scale per accorciare il tempo, avevo già il fiatone quando ho suonato, un caldo addosso da scoppiare, febbre di fare, di concludere al più<br />

presto, la mano nella tasca mi tremava e l’altra girava un bottone della giacca, l’aveva quasi staccato, la testa tentennava e non riuscivo a<br />

controllarla, ancora qualche secondo e se non aprivano me ne sarei andato, sentivo strascicare passi nel corridoio, dovevo scappare finché<br />

tutto era ancora intatto, ma la testa tentennava incontrollabilmente e la mano mordeva il grilletto, un dito aveva rimosso la sicura e ormai<br />

stavo lì, la porta si è aperta, è venuto lui ad aprire, mi dev’essere scappato un mezzo sorriso mentre tiravo fuori la mano ormai salda; e<br />

tutto ha taciuto in quel momento, li ho colti uno dopo l’altro senza più esitare, le gambe mi hanno portato da sole, la mano ha fatto da<br />

sola, io non avevo più colpa, il padre li avrà tranquillizzati vedendomi sulla porta, mi venivano le voci dalla cucina, ho calpestato il corpo e<br />

sono entrato, erano raccolti in cucina e così è stato più facile fare, la seconda figlia si era già precipitata in corridoio e con due botti l’ho<br />

sbattuta contro il muro, si è tenuta a una maniglia, la porta si è aperta ed è stramazzata nella stanza, la madre me la sono trovata sulla<br />

soglia della cucina e l’ho ributtata dentro, i colpi non cessavano ma tanto non potevo udire, tutto è diventato sordo tra le mie dita; e come<br />

potevo udire, come potevo vedere che nella mia mira c’erano i boccoli d’oro ben ordinati, i due occhi da tuffarcisi dentro e perdersi senza<br />

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