Leonardo Mancino - Arcipelago Itaca
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Da Mala Kruna, 2007<br />
Franca<br />
Mancinelli<br />
135<br />
e la diresti pronta per il viaggio<br />
la ragazza che ha lasciato, o forse<br />
perso le valigie ad una sosta<br />
e poi è trascorsa<br />
picchiettando sui colori<br />
della città: ho la forma<br />
dell’acqua e un suono<br />
come ogni animale un verso.<br />
il passo sui binari del suicida<br />
svuota le bocche e spezza<br />
le redini di affetti incontrollati.<br />
Ora l’infante potrà camminare<br />
con l’equilibrio che porta le braccia<br />
a sollevarsi inermi dalla terra.<br />
È un giorno strabico, e le persone<br />
s’affacciano sul proprio sangue fermo<br />
chiedendo dove sbuca la corrente<br />
che spinge rossa e perfora gli occhi.<br />
L’obitorio è un lago calmo: le barche<br />
ovali come il seme di una donna,<br />
la carne dove dorme sempre un figlio.<br />
un solo viaggio eterno, questa luce<br />
torna mia con un gesto dell’indice,<br />
e dentro gli occhi un davanzale ampio<br />
ultimo piano dove sono sporto<br />
da una casa vuota con la chiglia<br />
vedo gli istanti che sembrano fermi,<br />
uomini andare incontro al mare<br />
aperto, i cieli flessi,<br />
ponti minati e uccelli<br />
come archi all’orizzonte.<br />
Ora ogni cosa prima<br />
di sciogliersi o partire<br />
ha preso posto nella mia iride<br />
vagone di seconda in quante città<br />
sovraffollato, la gente in piedi scossa<br />
dalla stanchezza lungo i corridoi<br />
fino a che il buio e la provincia<br />
disseminano ognuno in un suo luogo.<br />
a Mario Dondero