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Leonardo Mancino - Arcipelago Itaca

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Su L’attimo dopo<br />

La vita, le cose e il divenire. Spunti e riflessioni per una lettura<br />

È uscita la raccolta poetica di Massimo Gezzi “L’attimo dopo”, pubblicata dall’editore Luca Sossella nel 2009 e poi ristampata nel 2010 (da<br />

questa ristampa citeremo). Si tratta di un’opera che ha un baricentro soprattutto esistenziale (ci sono infatti anche momenti di carattere<br />

morale): i testi in effetti sondano specialmente la dimensione della vita privata e quotidiana, ne misurano i confini, le situazioni, soprattutto il<br />

senso, i vuoti, il peso. Non è una cronaca, non è un diario puro e semplice, perché la scrittura quando racconta o descrive lo fa con un filtro, un<br />

approccio, una declinazione selettiva e orientante, che propone in modo indiretto (lirico) e insieme esprime specialmente un’interpretazione<br />

dell’esistenza. E il sentimento dell’esistere per l’autore passa attraverso l’idea chiave della precarietà, della fluida potenza del divenire, del<br />

partire, del lasciare. Nella struggente consapevolezza di tutto questo e quindi nell’attesa che “si popolino di altri le stanze/ che occupavamo<br />

noi” (p. 91). Non è un libro vuoto di cose o persone o luoghi; anzi, la parola di Gezzi si dedica con attenzione e fervore lucido a fermare,<br />

trattenere, dipingere oggetti e realtà quotidiane, secondo una scrittura che afferma l’esigenza del quotidiano. Non a caso si potrebbe dire in<br />

effetti un libro in parte neo-crepuscolare, anche se sulla scia di un neo-crepuscolarismo riletto sia mediante la moderna percezione della vita<br />

incerta, mutevole e precaria, sia con gli occhi di certo Montale, attento al negativo, a tenere quindi le distanze da facili entusiasmi o da canti<br />

consolatori e ingannevoli; si veda un testo vicino a precise direzioni e vie montaliane come “Rendere ragione”, per esempio. Gezzi però fonde<br />

tale esigenza del quotidiano con la forma di una scrittura che mantiene uno stile discorsivo, ma in genere misurato e classicamente controllato,<br />

equilibrato. Una sorta di classicismo moderno, dal basso, con forti contaminazioni appunto che vengono dalla sfera domestica e dal registro<br />

confidenziale, discorsivo, che viene però sedimentato e stilizzato. Inoltre, per una fertile contraddizione, a causa comunque di un movimento<br />

lacerante e generatore, aderire alle cose anche banali o dimesse di tutti i giorni significa sentire, scontare la loro fragilità, la loro precaria,<br />

mobile, dolorosa presenza. La vita si smaglia, si rompe, lasciando vuoti e residui, insieme al senso del nulla; il mondo in questi versi scivola, si<br />

incrina di continuo, ha un peso instabile, fluido, incerto, che la parola poetica vuole e può almeno sulla carta fermare. Un mondo, un tempo<br />

“liquidi”, ci verrebbe da dire citando Bauman.<br />

Accanto a questa coscienza del negativo (la precarietà, il tempo che passa e smaglia, il nomadismo moderno, l’incomunicabilità, la fatica e la<br />

stanchezza esistenziali) c’è un polo positivo, più esiguo in verità del polo tematico negativo: ciò che può aprire un guado, una riscatto felice, un<br />

salto esistenziale nelle trame ripetute dei giorni può essere la “meraviglia” (p. 71). Anche se la direzione più forte e poeticamente incisiva ci<br />

appare quella del sentimento del negativo, espresso senza scatti urlati, senza scomposti e agitati toni, o tratti.<br />

Un’altra riflessione, quindi. La declinazione lirica, privata dell’esistenza e della poesia va contestualizzata nell’ambito della questione critica se<br />

oggi nella produzione in versi in Italia la lirica sia morta o resista. Questa raccolta poetica dimostra come il lirismo tenga, come sia anzi ancora<br />

pulsante, vivo e dinamico. Certo, utilizza forme e mappe nuove, stili e temi rinnovati; per questo libro di Gezzi si potrebbe parlare di lirismo<br />

colloquiale e quotidiano, dove l’io non è più la presenza fondante, il perno assoluto, ma uno dei tanti punti di riferimento o dei temi affrontati<br />

sulla pagina. Va anche detto, però, che resta un forte ed elegiaco filtro soggettivo, anche quando i testi sono popolati da oggetti, persone,<br />

circostanze che possiamo incontrare tutti i giorni: si veda la intensa e calibrata poesia “Quattordici foglie”. Perché in effetti quasi sempre,<br />

almeno nella migliore e più larga corrente poetica di questo significativo libro, perfino le cose, perfino “i rami cuciranno/ i loro vuoti in silenzio,<br />

non impiegheranno/ troppo tempo per capire” (p. 22).<br />

Luciano Benini Sforza<br />

Massimo<br />

Gezzi<br />

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