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Leonardo Mancino - Arcipelago Itaca

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L’avventura pugliese di <strong>Leonardo</strong> <strong>Mancino</strong><br />

Di Biagio Balistreri<br />

“La ricchezza maggiore nella vita e nella cultura di un popolo e di una nazione si costituisce quando la storia (fatta di eventi<br />

quotidiani, drammatici e persino leggendari) si scandisce con i versi dei suoi poeti a determinare il senso di epoche e vitalità,<br />

eroismi e tragedie collettive, attese e costruzioni, speranze e realizzazioni politiche nella complessità di un canto generale ricco di<br />

illumina­zioni, pathos, motivi essenziali e reso in un tessuto di cospicua esistenzialità in un incessante evolversi di vita ideale<br />

intrecciato ad una vigorosa prassi politica.”<br />

Sembra l’inizio di un manifesto programmatico della letteratura vissuta come impegno. È invece l’incipit del saggio che <strong>Leonardo</strong><br />

<strong>Mancino</strong> dedicava al poeta e martire bulgaro Nicola Vapzarov, saggio che apriva il volume antologico di traduzioni dei Canti di<br />

Vapzarov a cura dello stesso <strong>Mancino</strong> e di altri autori, che vedeva la luce nel 1981 per i tipi di Quattrocittà cooperativa editrice,<br />

iniziativa editoriale promossa sempre da <strong>Mancino</strong> con me, Lino Angiuli, Raffaele Nigro, Vincenzo Jacovino, Cristanziano Serricchio,<br />

Michele Lastilla, Enzo Pagano. Un’iniziativa che, come spesso accade, oltre a quel primo prodotto, che nasceva con il sostegno del<br />

Sindacato Nazionale Scrittori, avrebbe visto soltanto un’altra pubblicazione: Il Grassiere, testo teatrale di Raffaele Nigro.<br />

L’incontro con <strong>Leonardo</strong> <strong>Mancino</strong> era avvenuto per caso alla fine del 1979. Egli era direttore didattico della scuola elementare di<br />

Bari frequentata da mio figlio, scuola nel cui consiglio d’istituto ero stato eletto.<br />

Ci avvicinava il comune orientamento politico. Tuttavia, quando mi capitò di dirgli per la prima volta che scrivevo poesie, iniziò a<br />

prendermi in giro, ridacchiando e chiedendomi con tono di cantilena: “e cosa scrivi, la donzelletta vien dalla campagna...?”<br />

Nel tempo avrei compreso il motivo di tale sfottimento: per <strong>Leonardo</strong> la letteratura era cosa di tale serietà e con tali implicazioni,<br />

da farlo naturalmente diffidare della possibilità di scrittura seria da parte di un dirigente bancario quale io ero.<br />

Poi si verificò l’inizio di un sodalizio che sarebbe durato diversi anni: detti a <strong>Leonardo</strong> <strong>Mancino</strong> il dattiloscritto delle mie poesie, e<br />

lui ne fu entusiasta, al punto che ne volle la pubblicazione nella collana “I Testi” da lui diretta per l’editore Piero Lacaita di<br />

Manduria e volle scriverne egli stesso la prefazione. Da quel momento sarei stato travolto in un turbinio di proposte, di iniziative,<br />

di presenze a convegni in giro per l’Italia e di serate con amici scrittori (ricordo Paolo Ruffilli, Rodolfo Di Biasio, Umberto Piersanti,<br />

Aldo De Jaco, per citarne alcuni fuori dalla Puglia, e in Puglia Vittore Fiore, Lino Angiuli, Carlo Alberto Augieri, Raffaele Nigro,<br />

Michele Dell’Aquila, Vito Maurogiovanni, Antonio Verri, Vittorino Curci, Daniele Giancane e tanti altri i cui nomi, a distanza ormai<br />

di più di trent’anni, mi sfuggono).<br />

<strong>Leonardo</strong> sentiva la letteratura e in generale la cultura come impegno militante, e mai più avrei incontrato un animatore<br />

culturale capace come lui di coinvolgere e al tempo stesso di scontrarsi, di lottare e di trovare tutti i mezzi per continuare la<br />

propria<br />

<strong>Leonardo</strong><br />

<strong>Mancino</strong><br />

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