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Leonardo Mancino - Arcipelago Itaca

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Da L’attimo dopo, 2010<br />

Massimo<br />

Gezzi<br />

119<br />

Adesso<br />

Adesso che cominciano tutte le ricerche,<br />

che mi guardo le mani e le scopro<br />

inutilmente contratte nella smorfia<br />

di prendere qualcosa che non c’è<br />

e non ci sarà – avverto come un’alba<br />

la tua tenerezza, il gusto di sentire<br />

l’incastro delle dita, il profumo di te<br />

che il mio asciugamano trattiene.<br />

E il miracolo di vederti,<br />

di essere veduto, ancorati sul cemento<br />

con ancore invisibili, proiezioni di ancore,<br />

cose che ci diciamo per svegliarci domattina<br />

ed avercene ancora.<br />

Adesso sono questo: un radar<br />

per la luce, una pelle che reagisce<br />

ai primi venti di settembre.<br />

Adesso siamo questa scenografia provvisoria:<br />

delle parole, dei rumori<br />

che le stanze della casa si dovranno inventare<br />

per non sentirsi troppo vuote,<br />

per non rimbombare.<br />

Poco prima<br />

Le braci degli sms che si spengono,<br />

la stanza inerme sprangata<br />

in cui tutte le notti affiora una polla<br />

d’acqua e luce, che chiede di sedersi<br />

sul cuscino, a contemplare.<br />

Il sonno atomico che marchia<br />

il materasso delle doghe,<br />

il fondale plasmato della notte<br />

a piccole dune. E l’esistenza quotidiana,<br />

fatta di carne e vetri sporchi,<br />

la cenere sottile dell’alba<br />

che scavalca le colline e pronuncia<br />

sulle labbra di ognuno la parola<br />

misteriosa, quella che fa sfilare dalle porte<br />

le sagome instabili dei corpi, poco prima<br />

che scocchi il rintocco sul quadrante<br />

e si popolino di altri le stanze<br />

che occupavamo noi.

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