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Leonardo Mancino - Arcipelago Itaca

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Da La Vallemme dentro, 2000<br />

Gianni<br />

Caccia<br />

58<br />

x<br />

Da I RICORDI DEL VECCHIO VALLEMMANO<br />

La coperta di nebbia che si dipingeva agli occhi straniti di Francesco era germogliata dalla terra stessa. La strada di ghiaia che scendeva al<br />

ponte spariva dopo la svolta nella palude impalpabile, da dove tronchi brulli di umidore protendevano braccia rinsecchite come a chiedere<br />

aiuto e non affondare del tutto nel soffice piano di letargo. Il senso di essere levato da terra investì il giovane nei pochi passi che lo<br />

separavano dall'auto: lui sopra, sul poggio verde mangiato dal fango che dominava il corso invisibile, e là sotto la nebbia che aveva<br />

inghiottito la strada e il ponte e la sua acqua nell’incanto novembrino, il solito e sempre diverso, come solita e sempre diversa è la<br />

Vallemme. Poi lo schiaffo del motore rovinò in quel sonno a riavvolgere la marcia, persino la nebbia, fitta e sicura a mirarla dal poggio e ora<br />

si disfaceva di fronte all’auto per ricomporsi poco più in là.<br />

Ma era qualcosa di nuovo in quel mattino: la valle fermata nell’abbraccio di un nulla, al cenno di quell’autunno maturo, Francesco<br />

l’aveva subito colto nel cricchiare sommesso della ghiaia ai primi passi fuori di casa, in cortile. Gli dava sempre un effetto inatteso una festa<br />

a mezzo della settimana; era un bicchiere troppo rapido e non aveva il tempo di berlo per intero, ma almeno spezzava la frenesia delle date<br />

e apriva una pausa, un vuoto così dissimile dalla vacanza d’uso, e se non era per qualche lontano scampanio che forava la scialba coltre di<br />

stagione, l’avresti detta una delle tante mattine sonnacchiose della Vallemme, dove nei giorni di cenere, o quando un sole di gelo posa i<br />

suoi raggi tentennanti sulle pietre spoglie e incinte d'acqua, la vita ricalca la meditata inerzia del fiume; una goccia di avara saggezza ben<br />

compresa dalla carpa che con accidia gironzola sul fondo della sua pozza, cercando il ristoro della melma.<br />

Sbucare con il muso dell’auto sullo stradone fu come evadere; la striscia d’asfalto con chiazze di bagnato era una parte a sé nella valle,<br />

neanche la nebbia la voleva. E non era come passare dai ciottoli terrosi giù dalla Castagneta all’asfalto del ponte, che rifatto dopo la piena<br />

aveva sortito la sua fetta di modernità, mentre non ne erano state tocche la stradaccia tutta pietre verso la cascina e le altre, compagne al<br />

corso del Lemme, che confluivano al suo imbocco. L’ultima parte, la più dolce, della discesa era già nebbia, così che la fine dei sobbalzi<br />

mutò di poco nella matassa grigia che si scioglieva sotto i fari e rinasceva subito dietro di lui, immemore del suo passaggio. Anche lo<br />

stradone appariva deserto in quel mattino, partecipe del silenzio che era planato sulla valle con la pazienza dell’acqua viva sotto la crosta<br />

del ghiaccio, approfittando di quella feria per prendersi la sua rivincita. Aveva arrestato l’auto sul ciglio benché non vi fosse bisogno, e<br />

subito il gesto dell’abitudine fu sopraffatto dall'aspetto della provinciale, che non dava segno di vita fin dove la nebbia accorciava lo<br />

sguardo e tornava a trionfare, anche sull’asfalto.<br />

Era di quelle volte che Francesco avvertiva il pulsare nascosto della valle. Di solito la passava inosservata, le mattine che prendeva la<br />

direzione del lavoro, verso Alessandria, e tanto più di sera, quando non concepiva altro che il suo piede sull’acceleratore. Allora era<br />

soltanto un tramite necessario, il ponte verso casa e il resto; ma oggi vi respirava dentro, viveva la sua Vallemme con il greto, gli alberi radi,<br />

le sterpaglie morte che si sottraevano a lui, ferme nel loro solito palmare mistero. Forse era perché oggi voltava dall’altra parte, e in effetti<br />

ebbe da rifletterci un po’ su per sterzare in senso opposto e correre nella direzione della domenica. Francesco si immaginava come l’unica<br />

cosa in moto dentro il sopore del mattino vallemmano e quasi gli pareva di violare l’incanto della bruma, ordinata a chiazze sulle coste e le<br />

colline che sorgevano dal fiume, con il verde che spariva e si riaffacciava ancora più lucido nel contrasto: ma solo in quei giorni senza data<br />

poteva concedersi la visita a Mastro Genio, ricorrenze comparse dal nulla nel calendario o pomeriggi bagnati nel sole dell’ultima estate,<br />

quando si godeva scampoli moribondi di ferie rivestendo poco a poco la pelle dell’ufficio.

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