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Leonardo Mancino - Arcipelago Itaca

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Da La stadera, 2005<br />

Gianni<br />

Caccia<br />

76<br />

x<br />

fissa della carità e si lascia convincere, arriverebbe a togliere i vestiti a me e a mia sorella per darli in carità, non mi piace questa elemosina<br />

data perché sono altri e come altri stanno sempre peggio di noi, è questo il vero razzismo, non il mio, il mio è difesa da chi non è come noi<br />

e ci minaccia; così, appena ho visto, ho capito subito come sarebbe andata a finire. Per educazione, quando mia madre è tornata dentro a<br />

raccattare roba, ho chiesto il nome della bambina. Il padre ha sciorinato una breve sequenza di suoni impronunciabili e non avevo voglia di<br />

richiederlo: peccato che fosse albanese e avesse un nome così. Parlavano un discreto italiano, erano qui da due anni, ma tutti gli Albanesi<br />

imparano l’italiano, fin troppo presto, fa parte dei loro piani. La bambina mi sorrideva ancora ignara, mi aveva preso in simpatia e ho<br />

ricambiato. Fossero qui a vedere come ho ricambiato; ma io sono bravo ad adattarmi, ho imparato a muovermi sul terreno dei compagni e<br />

camuffo bene l’odio.<br />

L’ho camuffato bene anche quel pomeriggio che mi sono imbattuto nel padre, portava a passeggio la bambina e io stavo tornando da<br />

casa di Vlady. Mi ha fermato e mi ha ringraziato cordialmente dei vestiti. Non ho mai provato tanto imbarazzo: mi avesse visto qualcuno dei<br />

nostri, io che mi prendevo sempre più spazio nelle riunioni, concionavo bene e poi ero amico degli Albanesi, il padre era maledettamente<br />

cordiale e la bambina sorrideva ogni volta che abbassavo lo sguardo a lei, non potevo trattenermi dal contemplare quell’ovale da pittore<br />

con i boccolini biondi tutti ben ordinati e gli occhi blu profondo che invitavano a tuffarsi nel loro luccichio e perdersi. Sono tornato a casa<br />

sconquassato, per ripigliare il controllo su di me ho dovuto rifugiarmi in qualcuna delle riviste che mi passava Milo, lui teneva contatti con<br />

altri gruppi. Da allora ho cercato di evitarli, di scantonare se li vedevo in distanza: quelle due perle azzurre e quei boccoli d’oro mi<br />

mettevano angoscia, paura. Fossero qui ora, magari perdonerebbero, mi aiuterebbero a capire le cose, o magari giustificherebbero che ho<br />

ragione io, siamo diversi e basta, ed è bene che restiamo separati. Perché è dalla paura che nasce il dubbio, solo con la mia paura sono<br />

perduto, non sono più sicuro che quello che ho fatto è bene, non sono neanche sicuro di aver fatto, forse me lo sono inventato, all’ultimo<br />

mi sono cagato sotto e ho buttato via la pistola e tutto, in quell’attimo mi sono rivelato, e non saranno neanche gli Albanesi che mi<br />

cercano, sono Vlady e gli altri, Milo li ha sguinzagliati contro di me, qualcuno di loro mi ha visto col nemico e mi hanno scelto per mettermi<br />

alla prova; e io ho offerto la prova, la prova di quello che valgo nel momento che non sono più le parole.<br />

Continuavo a frequentare la casa sul retro del ristorantino di specialità locali nel giorno di chiusura, con sempre più passione. Ormai ero<br />

io che incitavo, che proponevo le questioni e i rimedi; spesso mi davano sulla voce, più per dire anche loro che per confutarmi, ma io avevo<br />

più argomenti, ho coltivato poco i libri ma almeno io le cinque scuole le ho fatte in cinque anni, un po’ d’istruzione me l’hanno data. Milo<br />

sprofondava sempre in poltrona, annuiva col suo sorriso che non capivo se era perché ne sapeva di più, o si compiaceva della regia sempre<br />

meglio orchestrata a ogni riunione, di aver trovato uno che riusciva a dar parole giuste alla causa; annuiva e non mi interrompeva mai, alla<br />

fine mi porgeva le riviste dicendo di informarmi. Ma c’era poco da informarsi, ogni sera mi pareva che ripetessimo stancamente noi stessi,<br />

che cercassimo di illuderci a vicenda con la causa per non doverci confessare che non riuscivamo a darle uno sbocco; io non ero andato là<br />

per delle parole, ero stato chiamato per fare, ciò che l’odio reclamava.<br />

Una sera Vlady è venuto a prendermi con l’aria grave, vagamente misteriosa. C’è qualcosa di nuovo che bolle in pentola finalmente, si è<br />

limitato a dire; quando saremo là saprai. Tutti erano misteriosi alla riunione, c’era l’atmosfera forzata di un qualcosa che quasi temevano di<br />

palesare, ma prima o poi sarebbe saltato fuori; solo Milo giaceva impassibilmente sprofondato nella sua poltrona, col suo sorriso. Subito<br />

credevo che avessero scoperto con chi me la facevo, che volessero smascherare un mio tradimento della causa, ma nel peso dell’aria<br />

aleggiava anche una sorta di eccitazione repressa che indicava ben altro, e questo mi incoraggiava. È stato proprio Milo a dare la mossa,<br />

tocca a te Vlady, ha detto e il sorriso si è dileguato dalla faccia, si è retto sui braccioli mettendosi a sedere più composto; guardava fisso me,<br />

senza

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