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Leonardo Mancino - Arcipelago Itaca

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Da Mala Kruna, 2007<br />

Franca<br />

Mancinelli<br />

133<br />

t’ha fatto il nero più buio degli occhi<br />

il posto che è la casa vuota di me<br />

l’unghia che ritorna e spacca<br />

la carne. Da piccole macerie<br />

d’anno in anno t’ho raccolto<br />

ed ora che potrei<br />

stringermi all’incubo che ho gridato<br />

chiudo le arterie e torno<br />

monca alla vita.<br />

non è questa l’ora del treno, resta<br />

apri gli occhi all’ombra ondulata d’oro<br />

i rami del glicine, le persiane<br />

e ora chiudili di nuovo<br />

è una ferita accorgersi che siamo<br />

due dita di una stessa mano<br />

siamo un ponte sull’acqua e il suo riflesso<br />

cerchio intero di una falce di luna.<br />

vorrei con le parole aprirti<br />

questa vita come una mano<br />

che sul tavolo capovolta<br />

aspetta d’essere riempita<br />

stretta nella tua. Vorrei la lingua<br />

a chiudere ogni foro, a intonaco<br />

di questo intreccio di sterpi bruciati.<br />

Saremo due camicie<br />

appese l’una dentro l’altra<br />

per una stagione intera<br />

dove la penombra ha immerso<br />

l’amo negli inverni.<br />

quando mi dormi in mente<br />

la stanza ha il tuo profilo<br />

ed ogni cosa un posto<br />

come le vene.<br />

Sei il figlio, e il piccolo animale<br />

fermo sulla terra<br />

annusata cercando la radice<br />

la traccia, la coda di una promessa<br />

che trattengo, fino a che è rotto<br />

questo bavaglio, e il pensiero<br />

si disegna nella linea<br />

aperta delle nostre mani.

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