Leonardo Mancino - Arcipelago Itaca
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Da L’attimo dopo, 2010<br />
Massimo<br />
Gezzi<br />
108<br />
Poi ci fu una scossa repentina,<br />
e i muri cominciarono a frantumarsi<br />
e a spaventare gli insetti che ci vivevano dentro.<br />
Non c’è più lavoro, ci dicevano<br />
sorridendo, non ci sono più affetti<br />
capaci di farci amare queste sedie, queste mura,<br />
il silenzio che si ascolta parlare solo quando<br />
percepisci il tempo scorrere, o ricordi qualcuno.<br />
Bisognava replicare,<br />
fare in fretta le valigie stipandoci<br />
i lampi della piattaforma, il profilo delle colline,<br />
la camera a tre muri attraversata dai rintocchi,<br />
la città sconfinata e le stanze di neve.<br />
Viene ogni volta come un vento di mare,<br />
perdono o condanna,<br />
che ci fa salde le spalle e ci infiamma<br />
di dolore, a cui bisogna obbedire, dire ancora sì,<br />
mentre strappa i nostri volti sopra i muri che salpano.<br />
Da L’attimo dopo - I<br />
Perché nel sottinteso<br />
della nota che scandisce<br />
il tempo quotidiano c’è un enorme<br />
rumore di battiti, una schiera<br />
di persone che a quel suono<br />
hanno spento i fornelli, inchiavato<br />
un lucchetto, pigiato i nove numeri<br />
che compongono un recapito –<br />
questo ripetono<br />
i colpi di campane: che il tempo<br />
sono occhi e mani che si stringono,<br />
voci di lontano che dicono<br />
un saluto, il duplice flusso<br />
del sangue nel corpo…