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Leonardo Mancino - Arcipelago Itaca

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Un verso è una vasca e altri appunti sulla poesia<br />

Franca<br />

Mancinelli<br />

143<br />

Quando percorro avanti e indietro le vasche di una piscina, alla ricerca di quello stato di narcosi che mi coglie<br />

poco tempo dopo il ritorno all’asciutto, mi seguono inizialmente alcuni pensieri. Scorrono leggeri sulla<br />

superficie insieme alla mia chiglia, fluttuano appena sulla linea nera che guardo per non deviare. Per un’ora<br />

circa avrò soltanto alcuni gesti, con le braccia che a volte sembrano tagliare l’acqua in un modo esatto,<br />

disegnare un arco deciso, oppure oscillare e cedere all’informe; ripeterò gli stessi gesti fino a quando sentirò<br />

le spalle muoversi in un celeste che lentamente si solidifica. Allora risalirò dalla scaletta, ascolterò la doccia e il<br />

phon, e tornata a casa lentamente verrò richiamata nel fondo, dove si depone il governo delle mie forze.<br />

Alle prime bracciate, quando ancora l’acqua non è stata dissodata e i miei archi procedono incerti, mi sembra<br />

di continuare a scrivere, su un foglio limpido, con tutto il corpo. Penso che si arrivi alla fine di un verso, come<br />

di una vasca, muovendosi all’interno di una misura. Una serie di gesti si ripete fino a che si raggiunge una<br />

sorta di equilibrio per cui sembra di non muoversi, ma di essere portati. Chi infrange il codice di movimenti e<br />

si dibatte oltre la forma stabilita, affatica il suo corpo e alla lunga lo addolora. I suoi schizzi suonano stonati,<br />

non necessari. Sbaglia per incapacità o per ignoranza. Ne vedo diversi avanzare sul dorso battendo le gambe<br />

con i ginocchi piegati, oppure andare di continuo ad urtare con il gomito i galleggianti delle corsie; danno<br />

l’impressione di animali finiti in acqua per errore, o di nuove specie lacustri, disarmoniche, sorte in seguito a<br />

qualche modificazione chimica. Conservo con gratitudine le frasi dei miei insegnanti di nuoto; ricordo ancora<br />

quando uno mi disse che l’acqua non fa del male, ed appena lo sentii e mi abbandonai a lei, trovai la<br />

leggerezza che serve per nuotare sul dorso, senza temere di bere dal naso. Il fatto è che i movimenti sono già<br />

tutti scritti. L’unico pensiero è quello di aderire, di eliminare ogni intenzione che fuoriesce dal tracciato.<br />

Anche se si arriva al bordo della vasca con un turbinio di rabbie e di rancori, nello stesso istante in cui ci si<br />

affida all’acqua le passioni come scorie tendono verso il fondo, liberano i propri riflessi nel gioco della<br />

superficie. Con il roteare delle braccia e il battere delle gambe, poi sembrano del tutto dissipate. In realtà<br />

hanno obbedito a leggi più grandi dell’istinto, e all’interno di quel rito di obbedienza si sono placate. Allo<br />

stesso modo, quando ci si affaccia alle soglie di un verso, non si arriva alla sua fine senza che lo stato emotivo<br />

che ci portava, non sia stato in qualche modo addomesticato. Si scrive con la stessa cieca consapevolezza con<br />

cui si nuota: ogni intenzione o slancio deve essere sorretto da tutto il corpo, approvato dalle sue forze e dalle<br />

sue riserve. Ogni gesto deve confrontarsi con la necessità di resistere fino a toccare almeno il bordo della<br />

vasca.

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