Leonardo Mancino - Arcipelago Itaca
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Da La stadera, 2005<br />
Gianni<br />
Caccia<br />
80<br />
x<br />
Luogo.<br />
S’impose di calmarsi, ma stentava. Il prezzo da pagare per essere americani. Anche per lui che quella vacanza non la voleva, aveva<br />
accondisceso perché Linda non si sentisse da meno tra gli amici che vantavano le vacanze in Europa, nel Paese del sud soprattutto. Meglio<br />
girare il proprio Paese da un capo all’altro, che fare visita ai sottomessi infidi con la scusa della cultura, che cos’era tutta quella cultura da<br />
esibire di conoscere, di aver visitato; non l’aveva mai capito lui, americano anche quando dava il braccio alla sua signora o usava delle altre<br />
garbatezze. Infidi, l’avrebbe detto a Linda che per il futuro li avrebbe lasciati dove stavano, a macerare la loro rabbia di sottomessi, tra gli<br />
scarti della loro cultura. Sapeva bene che anche questo tornava nel conto di essere americani, che anche nel Paese del sud, nel Paese<br />
ufficialmente amico c’era tutta una propaganda contro, un’inimicizia non dichiarata, ma non l’avrebbe detto che covasse così forte: lo<br />
leggeva sempre più chiaro nelle facce dei due giovani ora intenti alla colazione, dei camerieri che si scambiavano occhiate o parlottavano<br />
con cenni verso il loro tavolo, e subito sparivano. Una propaganda sotto, un’inimicizia mielata cui preferiva la certezza di quei Paesi dov’era<br />
ben dichiarato, che non erano graditi.<br />
La pioggia batteva continua i vetri e il selciato della piazza; non c’era che quel diluviare grigio là fuori, quel consumare con la stessa<br />
forza, senza una posa. Non si vedevano più di passanti, anche il crocchio al lato opposto della piazza si era sciolto. Tempo infido, come il<br />
Paese che inutilmente pretendeva di lavare; con tutto quello che avevano fatto per loro e facevano tuttora, per la loro miserabile cultura,<br />
ecco come li accoglievano.<br />
Nella sala da pranzo era entrato un uomo sulla cinquantina, la faccia bruna e malinconica di barba lunga, che si diresse senza esitazione<br />
verso Mr. Faithful e signora. La pioggia aveva segnato l’orlo dei pantaloni e l’impermeabile beige.<br />
«Gli americani, giusto?»<br />
Allo sguardo interrogativo di Mr. Faithful e signora continuò nella lingua del luogo, senza aspettare risposta: «Devo pregarvi di venire<br />
con me. Qui non siete più graditi».<br />
«Che cosa? E perché dovrei venire… », rispose Mr. Faithful nel suo americano pastoso.<br />
«Non faccia scene. Tanto nessuno qui interverrà per voi». La voce, scavata e malinconica come la sua faccia, aveva il timbro grigio e<br />
regolare della pioggia. La coppia del tavolo vicino continuava la colazione; un leggero sorriso increspava le loro labbra. Non erano rimasti<br />
altri avventori nella sala, se n’erano usciti tutti poco prima, come a lasciar spazio al nuovo arrivato.<br />
Mr. Faithful si alzò in piedi, del tutto rabbioso. Di buona corporatura, ancora dritto sulle spalle, sovrastava l’uomo dalla faccia<br />
malinconica di due palmi.<br />
«Ma chi è lei?», eruppe Mr. Faithful nella lingua del luogo. «Noi due non abbiamo niente a che fare. Cameriere! Direttore!»<br />
«Non faccia scene. Gli ordini sono cambiati. Seguitemi, prego».<br />
«Forse non ho inteso bene. La pregherei di esprimersi… »<br />
«La vostra lingua non vale più. La vostra moneta non vale più», e cavò di tasca dei dollari accartocciati, gettandoli sul tavolo.<br />
«Seguitemi».<br />
Mrs. Faithful guardava con preoccupazione ora il marito ora l’uomo dalla faccia malinconica, con inutili richieste di spiegazione e inutili<br />
appelli a George che si calmasse.<br />
«Io non la seguo da nessuna parte! Tranquilla Linda, ora sistemo tutto».<br />
«Tutto è già sistemato. Non siete più i padroni qui, gli ordini sono cambiati».<br />
«Gli ordini sono cambiati»,